Potrebbe essere una donna a raccogliere il testimone di Eugenio Albamonte. Tra poco più di due mesi l’attuale presidente dell’Anm lascerà l’incarico, come previsto, e tra i favoriti a subentrargli c’è Bianca Ferramosca, giudice del Tribunale di Roma. Sarebbe la seconda presidenza femminile, nella storia del “sindacato” delle toghe, dopo quella della “mitica” Elena Paciotti, eletta la prima volta nel 1994. In ogni caso l’incarico di vertice toccherà a un magistrato di Unicost, la corrente centrista, secondo la turnazione stabilita due anni fa tra i gruppi. È invece un rebus, almeno per ora, l’indicazione del prossimo segretario: in questo caso la rotazione iniziale prevedeva di assegnare la carica a un magistrato di Automomia & Indipendenza, il gruppo di Piercamillo Davigo, che ha però lasciato la giunta unitaria. Se Ferramosca ha discrete chances di arrivare alla guida dell’Anm, sono alte anche le quotazioni di Francesco Minisci, pm a Roma e già segretario durante la presidenza Davigo. Un aspetto, quest’ultimo, che ha un peso ambivalente. Da una parte l’esperienza maturata con il precedente incarico avvantaggia Minisci, a maggior ragione per la delicatezza del momento: siamo anche nell’anno in cui si eleggerà il nuovo Csm. D’altra parte proprio all’interno di Unicost, a inizio quadriennio, ci si era accordati per fare in modo che la rotazione coinvolgesse il più ampio numero possibile di magistrati eletti nel comitato direttivo dell’Anm, e sotto tale aspetto l’aver già ricoperto il ruolo di segretario potrebbe sfavorire il sostituto della Procura di Roma. Una situazione complicata ma vissuta senza particolari asprezze dentro Unicost, che dovrebbe decidere in una riunione fissata per il 10 febbraio.

Ma più che la partita per il vertice del “sindacato”, a scuotere la magistratura associata pare il corto circuito che rischia di crearsi tra la stessa Anm, le elezioni per il Csm e la politica propriamente detta. La candidatura di Cosimo Ferri nel Pd non è solo una sorpresa: rischia di essere un terremoto “politico”. L’attuale sottosegretario alla Giustizia è forse la figura più autorevole di Magistratura indipendente, gruppo tradizionalmente considerato conservatore. Con la probabile elezione del suo leader nelle file del maggiore partito di centrosinistra, “Mi” potrebbe veder mutare alcuni dei propri tratti culturali. Tanto che l’opzione “di destra”, nell’Anm, potrebbe finire per essere rappresentata in modo più immediato dalla componente di Unicost che fa capo ad Antonio Sangermano, attuale vicepresidente del “sindacato” e capo della Procura dei minori di Firenze. Il pm che ha sostenuto tra l’altro l’accusa al processo Ruby interpreta una linea culturale moderata, e cattolica, anche riguardo al rapporto tra giurisdizione e nuovi diritti. Sangermano ne parlò l’estate scorsa in un’intervista al Giornale che suscitò un acceso dibattito tra le toghe. L’impegno di Ferri con i dem potrebbe rafforzare il ruolo del pm di Firenze, molto schierato contro il “collateralismo” fra magistratura e politica.

Resta sul tappeto anche la questione del rapporto con l’avvocatura, a cui Albamonte ha impresso uno slancio forse mai registrato in precedenza. Sarà uno dei temi del prossimo direttivo Anm ( 23 e 24 febbraio), quando l’attuale presidente presenterà anche le proposte di integrazione del codice deontologico relative all’uso dei social. Linee guida a cui Albamonte tiene molto. «Nei contesti pubblici», compresi quelli virtuali, «dovremmo sempre muoverci come se avessimo la toga sulle spalle», ha detto in un’intervista al Sole– 24 Ore. Questione sulla quale, insieme con altre, il leader uscente dell’Associazione magistrati dovrebbe tracciare un bilancio, in quello che sarà uno degli ultimi parlamentini sotto la sua guida.