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«Siamo di fronte a una svolta rivoluzionaria». Andrea Mascherin, presidente del Consiglio nazionale forense, ritrova l'espressione evocata esattamente due mesi fa, il 13 luglio, quando firmò con Giovanni Legnini il protocollo d'intesa tra avvocatura e Csm. Ripropone l'idea della rivoluzione nella giustizia ora che con lo stesso Legnini e con il ministro Andrea Orlando ci si avvia a disegnare un ruolo più incisivo per la classe forense nei Consigli giudiziari. Un tema cruciale: perché in questi organismi distrettuali vengono offerte al Csm le valutazioni di professionalità anche sui magistrati in lizza per gli incarichi direttivi. Proprio su questo snodo dell'autogoverno della magistratura si è svolto il dibattito organizzato ieri dallo stesso Cnf alla Sala Fellini di Roma. Al tavolo dei relatori si avvicendano - con Mascherin - Orlando, Legnini e i due vertici della Cassazione, il primo presidente Giovanni Canzio e il procuratore generale Pasquale Ciccolo.Tutti, pur con sfumature di differenza, convengono sull'utilità di un diritto di voto pieno, per i rappresentanti dell'avvocatura, nei Consigli giudiziari. Ne conviene soprattutto Orlando: «Si tratta di vedere in che forma garantire tale diritto di voto, ma si può senz'altro procedere in questa direzione», secondo il ministro della Giustizia. «Ascolteremo le valutazioni del Csm», aggiunge, e si riferisce al parere in arrivo dal plenum sulla proposta di riforma complessiva dell'Ordinamento giudiziario avanzata dalla commissione ministeriale da lui nominata, con a capo Michele Vietti. «Certo è che la valutazione sul campo delle capacità organizzative per quei magistrati che aspirano a funzioni direttive non può prescindere da una valutazione di tutti coloro che sono chiamati a valutare in concreto il funzionamento degli uffici», e quindi degli avvocati innanzitutto. Orlando dice chiaramente di non vedere in tutto questo «alcun pericolo per l'autonomia e l'indipendenza della magistratura». E sul numero di avvocati a cui riconoscere il diritto di voto in ciascun Consiglio giudiziario, aggiunge che «ce ne potrà essere più di uno», anche se prima di procedere si «ascolterà il Csm». Questione di ore. Certo il guardasigilli è determinato sul punto. Lo fa intendere con chiarezza alla platea dell'incontro organizzato dal Cnf: «Si può ipotizzare uno stralcio della disciplina dei Consigli giudiziari dal resto della riforma». La regola potrebbe tradursi fin da subito in un disegno di legge del governo. Anche se lo stesso ministro allude «a qualche passo indietro che sembra prefigurarsi nelle ultime ore» all'interno del Csm. Dubbi, prevalenti tra i togati, la cui consistenza viene misurata così da Legnini: «Il nodo è nelle segnalazioni degli avvocati sui capi degli uffici: ma si tratta di contributi che possono arricchire il lavoro di valutazione», chiarisce il vicepresidente del Csm, «a condizione di muoversi senza alimentare il timore della magistratura di veder leso il principio di autonomia». Si potrebbe cominciare per gradi, propone Canzio. Che anticipa alla Sala Fellini l'emendamento proposto qualche ora dopo in plenum (e respinto a maggioranza): «Trasferire nei Consigli giudiziari il modello adottato nel Consiglio direttivo della Cassazione, dove siede il presidente del Cnf con diritto di voto pieno». Si gira verso Mascherin e ironicamente gli chiede: «Lei, Mascherin, è un avvocato, vero?... E allora perché non dovrebbe avere diritto di voto, in ciascun consiglio giudiziario, almeno il presidente del Consiglio dell'Ordine di quel distretto? Mi sembra il primo passo. E posso assicurare che in Cassazione, quando è intervenuto l'avvocato Mascherin, nessun magistrato si è sentito leso nelle proprie prerogative di autonomia e indipendenza».In gioco la fiducia dei cittadiniLa svolta che si preannuncia va oltre la specifica questione del merito tra i magistrati in carriera. Ha a che vedere con quella collaborazione tra i «protagonisti della giurisdizione» annunciata dal protocollo di luglio Csm-Cnf, che è «un modo per proporre una giustizia davvero al servizio del cittadino», come osserva Mascherin. E anche, come riconosce Canzio, «un aiuto alla legittimazione della magistratura nella società, rafforzato proprio dal contributo dell'avvocatura». Forse è qui lo snodo cruciale del dibattito, che fa propendere per una previsione ottimistica sull'esito della riforma di Orlando: le toghe mai come in questo momento avvertono la necessità di presentarsi in una condizione di concordia e dialogo sereno con la classe forense per allontanare l'ombra della autoreferenzialità nell'opinione pubblica. È quel «definitivo superamento dei conflitti, che siano tra magistratura e politica o tra magistratura e avvocatura o all'interno dello stesso mondo togato», evocato da Legnini. «I conflitti allontanano gli obiettivi di una giustizia più efficiente». La stagione della giustizia come terreno di scontro permanente è insomma definitivamente superata e non riproponibile, se non si vuol perdere del tutto la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.Ancora Orlando ricorda come «non abbia senso pensare che una partecipazione degli avvocati alle valutazioni sui magistrati e sulle loro capacità organizzative possa mettere in discussione l'autonomia delle toghe: se questo rischio esistesse allora i costituenti non avrebbero dovuto prevedere la presenza a pieno titolo dei componenti laici neppure nel Csm», argomenta in modo difficilmente contestabile il guardasigilli. Oltretutto la sinergia tra i due ordini è funzionale anche a una «maggiore promozione della capacità manageriale nella griglia di valutazione dei capi degli uffici», come dice Orlando. Che mette in conto il parere problematico del Csm, ma che una legge la metterà comunque sul tavolo.