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Il summit dell'Unione Europea, fortemente simbolico, avvenuto all'isola di Ventotene ha avuto un momento di commozione con la visita lampo sul suolo del cimitero: Matteo Renzi, Angela Merkel e Francois Hollande hanno reso omaggio alla tomba di Altiero Spinelli, uno dei firmatari del Manifesto di Ventotene e che su quest'isola fu confinato dal nazifascismo. Sulla minuscola isola, davanti a quella di Ventontene, sorge il famigerato carcere borbonico di Santo Stefano. In quel carcere, nell'Ottocento vi soffrirono i padri del Risorgimento, negli anni bui del fascismo le sue celle opprimenti, progettate per "dominare le menti dei detenuti", ospitarono uomini che hanno fatto l'Italia di oggi e l'Europa, da Altiero Spinelli a Sandro Pertini, da Umberto Terracini a Mauro Scoccimarro.Nel 1900 venne spedito qui Gaetano Bresci, l'anarchico che uccise Umberto I, "il re mitraglia": Bresci "venne suicidato" dai secondini nell'infermeria del carcere. Nel penitenziario di Santo Stefano è passata la nostra storia risorgimentale, liberale, anarchica, e infine antifascista. Oggi c'è la volontà di voler recuperare tale struttura. Il progetto di recupero c'è già, ampiamente annunciato dal governo lo scorso gennaio, proprio da Ventotene, e finanziato a maggio con 70 milioni del Cipe. Ma il vertice dell'Ue "altamente simbolico" ha fatto notare il ministro della cultura Dario Franceschini, "ci rafforza anche nel percorso di recupero dell'ex carcere". Perché se i lavori sono già comunque decisi e dotati della necessaria copertura finanziaria, il coinvolgimento dell'Europa darebbe certo una marcia in più all'iniziativa italiana, che prevede la messa in sicurezza e la trasformazione in museo del penitenziario e la creazione di un approdo e di un eliporto per rendere raggiungibile l'isoletta, ma anche la riconversione degli spazi accessori in locali che possano ospitare incontri e convegni, nonché una scuola "di Alti Pensieri" da aprire ai giovani della futura classe dirigente europea. Il cantiere è partito e la messa in sicurezza della struttura ormai assediata da erbacce e tetti pericolanti, finanziata con 446 mila euro di fondi Mibact, sarà completata entro la fine di settembre. L'avvio vero e proprio dei lavori di restauro è invece previsto per l'inizio del 2017.La storiaS. Stefano fu scelta per la costruzione di un carcere che rispondesse agli, allora, imperanti dettami della salvaguardia della società "sana", mediante l'isolamento dei colpevoli ai fini dell'espiazione della "giusta pena". La costruzione dell'ergastolo fu l'ultimo atto della sistemazione urbanistica delle isole pontine, voluta da Ferdinando IV di Borbone, a prosecuzione delle imponenti opere, di uso collettivo e sociale, avviate da Carlo III a Napoli e nei territori del regno. Ferdinando infatti aveva deciso con il consiglio dei suoi ministri di fare delle isole pontine floride colonie. Nacque così un piano di interventi che prevedeva due direttrici: una, volta alla realizzazione di una serie di opere pubbliche; l'altra, al ripopolamento e alla trasformazione economica delle isole. Il piano dei lavori pubblici fu affidato alla direzione del Maggiore del Genio Antonio Winspeare, che si avvalse della collaborazione dell'architetto Francesco Carpi. Ma l'artefice materiale della realizzazione del carcere fu proprio il Carpi, il quale seguì tutte le fasi della costruzione sia sul piano strettamente architettonico che su quello riguardante le collaterali questioni amministrative.I lavori furono ultimati nel 1797: solo allora, il penitenziario potè allargare la propria capienza alle 600 persone previste dal progetto di Carpi; ma già in pieno XIX secolo si potevano contare quasi 900 detenuti. Il sovraffollamento carcerario, si sa, ha origini lontane.Il PanopticonLa ragione della forma circolare del carcere di S. Stefano, che pure si fonde mirabilmente con la linea curva dell'isolotto, è fondamentalmente ideologica. Nella seconda metà del Settecento, in Inghilterra e in Francia, venne maturando una riflessione che, pur investendo più direttamente il regime carcerario, si rivolge globalmente a tutte quelle che potremo chiamare "comunità coatte", nelle quali, cioè, molti individui vivono insieme non per libera scelta, ma perchè costretti dalla loro comune condizione di sorvegliati: i pazzi perchè non rechino danno a sè o agli altri, i malati per seguirne l'evolversi della malattia, i condannati perchè non evadano, gli operai perchè lavorino, gli scolari perchè studino. Così la particolare forma del carcere rispondeva alla razionale volontà di chiudere e delimitare lo spazio che potesse consentire, nel contempo, al carceriere di guardare sempre il recluso e a quest'ultimo di sentirsi visivamente, e quindi anche psicologicamente, sempre controllato. L'opera teorica che spiega, illustra e ribadisce con insistenza quasi maniacale questa necessità di sorvegliare, perchè le energie umane non vadano sprecate o non imbocchino sentieri devianti, è il "panopticon" di Jeremy Bentham, filosofo e giurista inglese. Esso è un vero e proprio trattato in forma epistolare mirante a dimostrare, come sia possibile, avvalendosi di un'idea architettonica, "ottenere il dominio della mente sopra un'altra mente".Il panottico è il modello di reclusione che, meglio di qualsiasi altro, segue la trasformazione della prigione da "monumento" a "macchina", da spazio di morte a puro dispositivo disciplinareSottolineando la trasformazione di una mentalità punitiva, esso segue il passaggio da una morale di esclusione, di rifiuto, di lutto ad un progetto di recupero sociale degli individui tramite l'ammaestramento, il raddrizzamento: "Una sottomissione forzata conduce poco a poco ad un'obbedienza meccanica".Per quanto il Carpi potesse essere aggiornato sui più significativi orientamenti della cultura europea contemporanea, mancano prove certe della sua presa di coscienza; fatto sta, che il suo carcere a S. Stefano si avvicina per molti versi alle concezioni architettoniche ed ideologiche del Bentham finalizzate alla realizzazione di un panottico, una struttura cioè in grado di consentire, come dice il nome stesso, un controllo visivo a tutto campo: sorveglianza totale e visibilità totale. Dunque il potere deve sorvegliare continuamente perchè nulla avvenga di male; il sorvegliato, a sua volta, deve essere continuamente visibile, e sapere di esserlo, perchè così perderà la possibilità e la volontà stessa di fare il male. Quasi a giustificare tanta ansia di controllo, il Carpi fece apporre all'ingresso del carcere questa sintomatica frase: Donec sancta Themis scelerum tot monstra catenis victa tenet, stat res, stat tibi tuta domus, ovvero " fintanto che la santa giustizia tiene in catene tanti esemplari di scelleratezza, sta salda la tua proprietà, rimane protetta la tua casa.Gli ultimi anniDopo la seconda guerra mondiale, S. Stefano riprese la sua normale funzione di carcere giudiziario per ergastolani finchè, il 2 Febbraio del 1965, fu definitivamente chiuso. Averlo chiuso è stato un atto di civiltà indipendentemente dai motivi contingenti per cui si lo si è fatto, ma da allora il complesso era stato esposto alle aggressioni del tempo, del clima e, soprattutto, del cieco vandalismo. Nel 1968 un privato aveva preso in affitto l'edificio per un canone annuo si dice, di sei milioni da versare allo Stato: pare che l'intenzione fosse di realizzarvi un grande complesso alberghiero, pur conservando integre le strutture settecentesche. Il progetto non è mai andato in porto, l'affitto è stato revocato, e continuò il processo di disfacimento. Fino ad arrivare ad oggi e con la promessa da parte del ministro Franceschini di volerlo recuperare: conservare il senso della nostra storia, vuol dire anche salvaguardare la memoria degli uomini e delle cose.