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Condanna confermata ma pena da rideterminare. La quarta sezione penale della Cassazione ribadisce la tesi dei giudici di primo e secondo grado: l’ex sindaco di Genova Marta Vincenzi è colpevole di omicidio colposo plurimo e disastro colposo per la morte di quattro donne e due bambine nell’alluvione che travolse Genova il 4 novembre 2011. Cade però uno dei due capi d’imputazione per falso, sia per l’ex prima cittadina che per gli altri cinque imputati: l’ex assessore alla Protezione civile Francesco Scidone e quattro tecnici del Comune. Sarà una nuova Corte d’appello a stabilire se Vincenzi sconterà in carcere almeno parte della pena, che era stata definita in cinque anni. La tragedia ha uno strascico che sembra infinito.
L’esondazione del rio Ferreggiano e alcune decisioni del Comune di Genova costano una condanna comunque pesante per due amministratori e quattro funzionari. Tra tutte, resterebbe determinante la decisione di non chiudere le scuole, circostanza che secondo le sentenze del Tribunale e del primo Appello causò indirettamente la morte di una delle sei vittime. Ma restano anche i tanti dubbi sulla sostenibilità di un quadro normativo che scarica addosso ai sindaci gran parte del peso dei disastri.
Una cornice che mostra la sua fragilità a inizio anni Duemila, quando comincia a essere chiaro che la legge istitutiva della Protezione civile non basta. Servirebbe una riordino della disciplina anche sul piano penale, in modo da ripristinare lo spirito del modello organizzativo introdotto nel frattempo per le emergenze meteo, denominato “Augustus” e basato sul principio della collaborazione e della condivisione di responsabilità tra una pluralità di soggetti, non scaricata dunque solo sui sindaci. E invece la riforma non arriva, se non sotto la specie di una legge delega approvata solo un paio d’anni fa con il nuovo “codice della Protezione civile” ( legge 30 del 2017) ma mai tradotto in decreti attuativi. «Seppure il legislatore si fosse dato da fare, non sarebbe servito come scriminante per il caso di Vincenzi», spiega l’avvocato Stefano Savi, difensore dell’ex sindaca, «non si sarebbe trattato di una abrogatio criminis. Ma resta il fatto che le sentenze di primo e secondo grado avevano condannato Vincenzi nonostante avesse rispettato la procedura prevista all’epoca della tragedia».
Eppure l’incertezza nella quale si sono mosse le condanne nei confronti della sindaca e degli altri imputati per il disastro del 2011 sembrano figlie di una sorta di nemesi. Consumata con il rovesciamento della “stagione dei sindaci”: dal potere conquistato al crepuscolo della Prima Repubblica da figure come Bassolino e Rutelli all’isolamento nelle responsabilità di fronte ai disastri. È così che si crea la situazione paradossale di cui hanno parlato ieri in udienza i difensori dell’ex prima cittadina di Genova, Franco Coppi e, appunto, Savi: «Una sostanziale impossibilità di determinare il contenuto della responsabilità degli amministratori». Il rischio è arrivare «alla responsabilità oggettiva, che non è ammessa dal nostro codice». Interpellato prima della lettura della sentenza, l’avvocato aveva notato che «con l’interpretazione data nelle asentenze precedenti, se uno fa il sindaco finisce per rispondere di tutto ciò che accade, per il solo fatto di rivestire quella carica. Ecco perché dalla Suprema corte ci aspettiamo che i confini della responsabilità pubblica vengano determinati con precisione, con certezza su quali sono gli obblighi e quali condotte costituiscano reato, come il nostro ordinamento prevede». Non sembra sia andata così. Secondo la tesi esposta ieri in udienza dal professor Coppi, «nessuno aveva avvertito la sindaca quella mattina: un sistema flessibile esige che funzioni tutto alla perfezione. Se si rompe anche il più piccolo ingranaggio il sistema va in malora e non c’è piano che regga: è purtroppo quello che accadde il 4 novembre 2011. Saltò la rotella minima dell’ingranaggio, quella più importante da cui sarebbe dovuta partire la segnalazione».
Alla condizione kafkiana che l’ha tenuta inchiodata da 8 anni, Marta Vincenzi ha dedicato un saggio, ancora non pubblicato. «Con l’editore siamo rimasti d’accordo che sarebbe uscito dopo la conclusione del processo», ha spiegato ieri mattina al Dubbio, poco prima che cominciasse l’udienza. Un libro che spiega le distorsione, l’improvviso precipitare delle responsabilità in capo ai sindaci come lei, non certo la sua specifica vicenda processuale. Vincenzi, che è stata anche europarlamentare dei Ds, ha scritto un paio di romanzi, uno intitolato “L’eredità di Marianna”. Nulla che riguardi il disastro del 2011, solo una donna in cerca di verità. Come lei, che non ha mai smesso di interrogarsi sul senso del dolore provocato dalla tragedia di 8 anni fa. Ha sempre saputo solo una cosa: che non avrebbe potuto evitarla.