«Non voglio partecipare a un evento gestito in maniera indecorosa da parte dell’Associazione nazionale magistrati», dichiara al Dubbio Roberto Carrelli Palombi, presidente del Tribunale di Siena e storico esponente di Unicost, la corrente di centro della magistratura, alla vigilia dell’assemblea generale che dovrà decidere sul destino di Luca Palamara.

Lo scorso 20 giugno il comitato direttivo centrale dell’Anm aveva deciso di espellere Palamara per indegnità, a seguito di quanto emerso nelle intercettazioni disposte dalla Procura di Perugia. Nel mirino, in particolare, le interlocuzioni per le nomine dei capi di importanti uffici giudiziari, emerse nell’incontro del 9 maggio 2019 presso l’hotel Champagne di Roma, con alcuni politici, i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti. Contro l’espulsione, il magistrato, che dell’Anm era stato anche presidente, ha presentato ricorso. La discussione e la decisione, inappellabile, si terrà domani a Roma in un ambiente assai particolare: l’aula magna della Pontificia università San Tommaso D’Aquino Angelicum.

Carrelli Palombi aveva fornito inizialmente assistenza tecnica a Palamara davanti ai probiviri dell’Anm quando venne aperto il procedimento. In occasione del direttivo di luglio, il pm romano aveva anche chiesto, senza successo, di essere ascoltato. «Non esistevano motivi seri per non consentire a Palamara di prendere la parola: potevano espellerlo lo stesso ma dovevano comunque ascoltare le sue ragioni», puntualizza amaro Carrelli Palombi. «Non c’è stata – aggiunge - e non c’è la volontà di affrontare una seria analisi di quanto accaduto». Carrelli Palombi, dopo trent’anni di associazionismo giudiziario, ha dunque deciso di «farsi da parte».

Il tema, incandescente, è sempre lo stesso: il “sistema” delle nomine dei capi degli uffici con in primo piano il ruolo delle correnti nelle scelte del Csm. «Ma figuriamoci se tale sistema poteva basarsi solo sulle asserite ' malefatte' di Palamara», prosegue il presidente del Tribunale di Siena. «Palamara avrà pure tutte le colpe della terra, penali e disciplinari, ma l’Anm doveva fare delle valutazioni ‘ politiche’ e non cercare di risolvere tutto con la ricerca del facile capro espiatorio».

Lo scenario emerso dalle chat di Palamara è quello di decine di magistrati che si rivolgevano all’ex pm romano, allora potente presidente della commissione Incarichi direttivi del Csm, per ottenere promozioni. Non solo ruoli da dirigente, ma anche gli ambiti posti al Massimario della Cassazione, alla Procura generale presso la Suprema corte, all’Ufficio studi del Csm. E poi i ben pagati “fuori ruolo” presso il ministero della Giustizia. «Dalle intercettazioni e dalle chat emerge che erano coinvolti in tanti; anzi, eravamo coinvolti in tanti, mi ci metto anche io», precisa Carrelli Palombi, secondo il quale «serve una rifondazione dell’Anm dopo aver fatto tutti un passo indietro». Precisamente andrebbe «azzerato questo sistema che non ha portato a grandi risultati, pur considerando la qualità delle persone che sono state scelte negli anni per gli incarichi. Volevo già proporre questo tema al congresso dell’Anm di Genova ( svoltosi a dicembre 2019, ndr), una inutile parata non rappresentativa, ma mi è stato impedito», ricorda, sottolineando come «i magistrati silenziosi e meno disposti a partecipare all’Associazione sono sempre di più».

E poi c’è anche il tema del “turboprocesso” a Palamara davanti alla sezione disciplinare del Csm. Stamani è prevista la prima udienza dibattumentale. La sentenza è attesa per il 16 ottobre. Il collegio ha fissato un calendario da record: tutte le udienze della disciplinare da qui al 16 ottobre saranno dedicate solo al processo a Palamara. «Lascia perplesso un tour de force simile deciso prima ancor che si sappia quali testi debbano essere ammessi o meno: capisco che ci sia di mezzo da questione  "Davigo", ma le cose che ha scritto Nello Rossi (direttore della rivista di Md, Questione Giustizia, ndr) sul pensionamento di Davigo le avevo dette io anni prima. Come Unicost, infatti, non candidammo al Csm un autorevole avvocato generale dello Stato che sarebbe andato in pensione durante la consiliatura».