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L’avvocato in Costituzione? «Migliorerebbe la giustizia, dando la giusta dignità al ruolo del difensore nel processo». Mentre il blocco della prescrizione «non risolverebbe nulla: sarebbe come prendersela con il termometro per la febbre». L’unica strada per guarire una giustizia malata, secondo Francesco Alicino, professore ordinario di diritto costituzionale dell’Università Lum di Bari, è dunque tornare alla Costituzione, ricordando lo scopo della giurisdizione: «tutelare i diritti e la dignità delle persone», spiega al Dubbio. Mettendo in guardia la politica dalla legislazione d’emergenza, «che asseconda gli stati d’animo, ma non risolve i problemi».
Professore, recentemente si è espresso favorevolmente all’idea avanzata dal Cnf, quella dell’avvocato in Costituzione. Migliorerebbe la macchina della giustizia?
L’inserimento del principio dell’indipendenza dell’avvocatura in Costituzione si inserisce a pieno titolo nella migliore attuazione nel processo accusatorio. L’avvocato diventerebbe una parte legittimata all’interno della funzione giurisdizionale e avrebbe una migliore dignità a livello processuale e costituzionale. Ho ripreso questa proposta avanzata dal Cnf nel corso di un convegno organizzato da Magistratura indipendente, concentrandomi sulla necessità di inquadrare nel miglior modo possibile l’emergenza giustizia dal punto di vista costituzionale, distinguendo l’organizzazione degli uffici giudiziari dalla funzione giurisdizionale. Ma non deve essere affrontata con la legislazione d’emergenza, come si è fatto in passato e si continua a fare.
Si riferisce alla discussione sulla legittima difesa?
Giusto per fare un esempio. È la naturale evoluzione del modo di concepire la giustizia: il problema è stato politicizzato, dimenticando che la funzione giurisdizionale, in uno Stato di diritto, è quella di garanzia. Ci si concentra su temi come questo, che riguardano in media tre casi l’anno, ma che diventano un’emergenza, alimentata dagli imprenditori della macchina elettorale, ma anche da un modo scriteriato di guardare alle problematiche della giustizia. Anche la riforma Orlando è stata gestita in modo incredibile: non emanare i decreti perché non pagavano dal punto di vista elettorale è un esempio emblematico di come le varie parti in causa non hanno la volontà di risolvere le questioni. E lo dimostra anche il fatto che manca un vero e proprio impegno finanziario, perché finché non si investe si continuerà a parlare sempre degli stessi problemi.
E qual è la via d’uscita?
Attuare il disegno costituzionale, senza ragionare in base alle correnti interne alla magistratura, ma pensando a chi subisce i malesseri della giustizia. Bisogna responsabilizzare l’avvocatura, elevando la sua dignità costituzionale, tenendo conto che i ruoli sono differenti, però sono parte della stessa funzione giurisdizionale di cui fanno parte i magistrati e bisogna farli sentire partecipi. La distinzione, che fa bene alla dialettica processuale, va certamente rimarcata, ma serve anche che tutte le parti in causa diano il proprio contributo. Perché è un’emergenza che riguarda la garanzia dei diritti fondamentali. Quando una persona resta in carcere in quelle condizioni, quando si deve aspettare anni per avere giustizia, si mettono in discussione i capisaldi della democrazia, che non è solo formale ma anche costituzionale. Sono curioso di sapere cosa impedisce di inserire in Costituzione il principio dell’indipendenza dell’avvocatura, capire quale sono le obiezioni.
Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Nicola Morra, ha parlato di “bollino etico” per gli iscritti agli ordini professionali. Cosa ne pensa?
Non conosco le basi di questa proposta, ma di primo acchito direi che evocare concetti come l’etica per gli avvocati non mi sembra un modo di porre la questione nella giusta prospettiva. Cosa vuol dire bollino etico? La Commissione deve effettuare delle inchieste, sempre da un punto di vista costituzionale, e deve intervenire.
La prescrizione impedisce davvero una soluzione dei problemi della giustizia?
Il problema in Italia è esploso perché i numeri delle prescrizioni sono alti, come conseguenza all’esplosione della domanda di giustizia. È il fenomeno della tribunalizzazione, tipicamente occidentale, una specie di “giustizia difensiva”. Molti settori della società vengono assoggettati al controllo della giustizia: gli altri paesi sono intervenuti con la depenalizzazione di molti reati, cercando di rendere più fluido il sistema sfruttando la tecnologia; in Italia, invece, si è intervenuti solo con palliativi. Ma la prescrizione è un sintomo di un malessere ben più profondo e non si può curare la febbre prendendosela con il termometro.
E cosa bisognerebbe fare?
Rendere i processi più snelli. Non vedo come tagliare la prescrizione, con il pericolo del fine processo mai, possa risolvere il problema. Cosa c’entra con la funzione di garanzia della giustizia? Il giudice non va considerato più come la bocca della legge che al più interviene per risolvere le controversie dei cittadini, bisogna capire che tutte le parti in causa svolgono una funzione decisiva. Bisogna inquadrare tutto nella difesa dei diritti fondamentali della persona contro i soprusi da parte dei poteri, pubblici e privati, fermo restando che senza investimenti finanziari ma anche intellettuali - cambierà poco.
Quale consiglio darebbe alla politica?
Non aspiro a tanto. Il mio è più un invito a tornare alla Costituzione, partendo dagli obiettivi e dalle funzioni che la giustizia assolve e anche dagli attori che sono parte di questo fenomeno, tra i quali gli avvocati. Bisogna intervenire sui codici, sul processo, puntando su una forte depenalizzazione, ma anche, ripeto, investendo. Il problema dell’edilizia giudiziaria, a Bari, è la metafora della giustizia italiana. Tutte le parti in causa devono sentire questo problema, avanzando proposte rispetto al proprio punto di vista, facendo la propria parte. Anche i magistrati, magari parlando di meno in tv e facendo più sentenze.