Una storia tortuosa di botte, omicidi e sparizione di un cadavere ambientata in Sardegna. Ma anche gogna mediatica, persone coinvolte – giovanissime – in un’inchiesta giudiziaria. Un ragazzo, in particolare, insieme alla sua famiglia, ne è uscito stritolato sia sulla stampa locale sia dalle chiacchiere, inevitabili, degli abitanti del paese. Ma andiamo con ordine. Tutto iniziò l’ 8 maggio del 2015, con l’omicidio di Gianluca Monni avvenuto a Orune ( provincia di Nuoro), e con il sequestro, l’omicidio e la distruzione del cadavere, mai trovato, di Stefano Masala ( 28 anni, di Nule), che sarebbe avvenuto la sera prima. Le prime indagini portarono all’iscrizione nel registro delle notizie di reato di due ragazzi, Alberto Cubeddu ( attualmente 21 anni, di Ozieri, provincia di Sassari) e il cugino Paolo Enrico Pinna ( ora 19enne di Nule, provincia di Sassari). Entrambi, il 25 maggio del 2016, furono arrestati con l’accusa di omicidio. Paolo Enrico Pinna era minorenne all’epoca dei fatti per i quali era stato accusato. È stato condannato al massimo della pena, 20 anni, dal Gup del Tribunale dei minori di Sassari, mentre Alberto Cubeddu è ancora in attesa di giudizio, attualmente recluso al carcere duro di Bancali. Oggi è previsto lo svolgimento di un’altra udienza.

L’INFORMATIVA

Ed è proprio Alberto Cubeddu che si è ritrovato immerso in un ciclone mediatico giudiziario che, per certi aspetti, ha dell’inverosimile. Uno dei motivi per cui la magistratura ha ritenuto di convalidare l’arresto nei confronti di Alberto è relativo a una informativa dei carabinieri ritenuta veritiera per tutte le successive fasi delle indagini fino al processo. Nell’informativa risalente al 9 maggio 2015 c’era scritto che “il ragazzo risulta indagato per tentato omicidio e rapina in concorso con il cugino Paolo Enrico Pinna”. Si riferisce a un episodio avvenuto ad Ozieri il 6 gennaio 2014, ovvero una sparatoria contro un automobilista che stava facendo rifornimento di benzina con il solo obiettivo di rubare la macchina. I magistrati hanno prestato fede all’informativa e l’hanno ritenuta sufficiente a supportare la custodia cautelare descrivendo Alberto Cubeddu come una persona violenta, dedita alle rapine, un tipo pericoloso capace quindi anche di uccidere. Peccato che tale informativa si è rivelata una bufala. A smascherarla, nel corso dell’udienza del 27 luglio scorso, sono stati gli avvocati Mattia Doneddu e Patrizio Rovelli facendo mettere agli atti una certificazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Sassari ( competente per Ozieri) dalla quale risulta che il presunto procedimento penale contro Alberto Cubeddu non è mai esistito, era contro ignoti e come tale è stato archiviato un anno prima del suo arresto. Quindi, detta in soldoni, la principale motivazione che dette via al suo arresto e giustificazione a quello preventivo, si è basata su una fake news. Una falsa notizia che però ha dato adito alla stampa locale nel dipingere Alberto come un delinquente abituale e alla magistratura di tenerlo in galera.

Ma non finisce qui. C’è anche un altro elemento che è stato utilizzato dalla Procura e sbattuto sulle prime pagine della stampa locale come la prova regina che Alberto Cubeddu era stato senz’altro coinvolto nel duplice omicidio. Eppure, anche in questo caso, la vicenda ha quasi del surreale. Ma per capire meglio, ripercorriamo i fatti del famigerato “delitto di Orune” del maggio 2015. Sullo sfondo, secondo l’ipotesi investigativa, c’è una lite tra ragazzi di Orune e altri di Nule per una ragazza. Tutto iniziò il 13 dicembre del 2014 ad Orune, nel corso della manifestazione “Cortes Apertas” quando scoppiò un violento litigio tra giovani orunesi e nulesi in trasferta. In una sala da ballo un giovane di Nule ( ospite di orunesi) molestò alcune ragazze, tra le quali la fidanzata di Gianluca Monni, che reagì, con i compaesani, cacciando via i nulesi. Uno di loro si ripresentò poco dopo con una pistola in mano, puntandola alla tempia di Monni. A farlo fu pro-prio Paolo Enrico Pinna, all’epoca minorenne. Da precisare che il cugino Alberto non era presente in quella festa. L’aggressore fu disarmato e ricacciato via da Orune a suon di botte. Qualcuno però giurò vendetta e pare che a giurarlo fosse proprio Pinna. L’ipotesi giudiziaria vuole che per mesi i due cugini, Paolo e Alberto, avrebbero pianificato l’omicidio, sapendo che Monni prendeva ogni mattina il pullman per andare all’Istituto ' Volta' di Nuoro, dove frequentava la quinta classe. E la mattina dell’ 8 maggio, con una Opel Corsa nera, Pinna e Cubeddu avrebbero compiuto l’omicidio. Quella Opel Corsa era stata rubata la sera prima a Stefano Masala: quest’ultimo sarebbe stato ucciso – il corpo non fu mai trovato - proprio per rubargli l’auto e far ricadere su di lui la responsabilità dell’omicidio. Ora ritorniamo alla prova: sarebbe la testimonianza di una ragazza che avrebbe visto poco prima del delitto l’auto di un forestiero, con all’interno un ragazzo somigliante ad Alberto Cubeddu, che gli inquirenti ritengono sia quella dell’omicida. Dai giornali locali era stata definita una super testimone, ma i fatti oggettivi ridimensionano la sua testimonianza. Secondo la tesi, la ragazza avrebbe visto l’auto rubata a Stefano Masala passarle davanti qualche minuto prima che avvenisse l’omicidio di Monni nel paese. Ma non solo. Avrebbe visto anche il volto del passeggero che poi, in seguito ad un riconoscimento fotografico, sarebbe stato attribuito ad Alberto Cubeddu. Punto primo: la ragazza, inizialmente, ha descritto la macchina grigia e simile alla Punto, mentre in realtà la macchina rubata – quindi dell’assassino - è nera ed è una Opel. Punto secondo: la ragazza chiarisce che sopra il tetto del veicolo vi fosse un grosso pacco nero ed arancione: l’auto rubata a Masala ed utilizzata nell’omicidio del Monni non aveva alcunché sul tetto, come dimostrano i filmati che l’hanno ripresa pochi minuti prima del delitto. Punto terzo: la ragazza aveva descritto il volto del conducente – la macchina sarebbe passata una seconda volta e il passeggero si sarebbe esposto fuori dal finestrino con i capelli chiari e a spazzola, mentre in realtà Alberto è moro e porta i capelli in maniera diversa.

LA FOTO

Ma non finisce qui. La testimone, la sera stessa dell’omicidio viene convocata dai carabinieri del paese per fornire la descrizione. Dopo sei giorni – quando circolarono già i nomi dei presunti coinvolti, quindi anche quello di Alberto a causa di quella falsa informativa - viene riconvocata per fare il riconoscimento fotografico. I carabinieri le mostrarono 30 foto con caratteristiche simili ad Alberto, e lei ha indicato quest’ultimo dicendo che è “il più somigliante” alla persona osservata, aggiungendo però che in quella foto risultava più giovane. A quel punto i carabinieri la riconvocano mettendo altre fotografie, tra le quali la foto più recente di Alberto, unica foto non segnaletica. La peculiarità è che la foto di Cubeddu era stata tratta da quelle pubbliche del profilo facebook del ragazzo, modificandone lo sfondo. Una modalità legale, ma inusuale perché si è scoperto che oltre al fondo, hanno anche fatto dei tagli: i legali hanno dimostrato che la foto originale ritraeva lui assieme al cugino Paolo Pinna. Non poteva altro che accadere la conferma del riconoscimento. La vicenda rimane comunque complessa. Nell’ordinanza di custodia cautelare compare anche il nome di Alessandro Taras, 40 anni, di Ozieri, accusato, in concorso con Alberto Cubeddu, di aver incendiato l’auto di Stefano Masala. Il pubblico ministero Andrea Vacca aveva concluso la sua requisitoria sollecitando una condanna a 10 mesi per incendio doloso. Ad aprile è stato assolto, ma nel frattempo era diventato il superteste dell’accusa. Ma è una storia che merita un approfondimento a parte.