I recenti scandali che, con vasta eco mediatica, hanno coinvolto componenti passati e presenti del Consiglio Superiore della Magistratura hanno innescato la tipica reazione “all’italiana”, consistente nel proporre soluzioni estemporanee a problemi cronici sull’onda dell’emotività indotta dai fatti di cronaca. Ecco che si annunciano “purghe” contro la “politicizzazione” dell’organo di governo autonomo della magistratura, per quanto riguarda la componente laica, e contro il “correntismo”, per quanto riguarda la componente togata. Non ha senso “purgare” il Csm col sorteggio, bastano regole chiare su candidati e correnti

Le soluzioni contenute nel Disegno di Legge del Ministro della Giustizia ipotizzano l’ineleggibilità per i componenti votati dal Parlamento che abbiano ricoperto negli ultimi 5 anni incarichi politici e l’estrazione a sorte, seppure in seconda battuta, dei componenti eletti dai magistrati. La prima è una sciocchezza rispetto alla storia prima che rispetto al diritto. Chi scrive è, sul punto, in conflitto di interessi, dal momento che all’atto della sua elezione al Csm, prima di diventarne Vicepresidente, era parlamentare in carica. Ma ciò non mi impedisce di ricordare che le figure più autorevoli di questo organo di rilievo costituzionale, da De Carolis a Galloni, da Rognoni a Mancino, per tacere degli ultimi tre Vicepresidenti tutti parlamentari, sono stati esponenti di spicco del Parlamento e del Governo nazionali.

Peraltro il Costituente, nel disporre una quota di riserva di un terzo dei componenti eletta dalle Camere in seduta comune, non solo non ha voluto escluderne la provenienza “politica” ma anzi ha inteso che l’estrazione dei rappresentanti popolari potesse costituire un utile contrappeso rispetto alla maggioranza della componente magistratuale. Ovviamente chi approda per questa via al Csm deve recidere i suoi legami di provenienza partitica, ma certo non deve e non può prescindere dall’apportare all’organo collegiale le sue visioni ideali, la sua estrazione culturale, la sua connotazione valoriale, che diventano l’elemento di arricchimento del pluralismo che in quella sede deve essere garantito. Quanto all’elezione dei togati non c’è dubbio che l’ultima riforma ( legge 44 del 28 marzo 2002), nata con il dichiarato intento di ridimensionare le correnti, ne ha viceversa esasperato il ruolo e soprattutto i difetti.

Premetto che non sono affatto contrario alle “correnti”, nella misura in cui rappresentano aggregazioni culturali che accomunano sensibilità di “politica giudiziaria”, intesa nel senso di visioni del ruolo della giustizia e delle sue concrete declinazioni. Ovviamente se questo aspetto passa in ombra rispetto a pure logiche di potere e di occupazione dei posti nascono le degenerazioni correntizie che nessuno può difendere. Il sistema attuale di tre collegi unici nazionali in cui eleggere rispettivamente i magistrati di Cassazione, i pubblici ministeri e i giudici ( rispetto ai quattro collegi territoriali previsti in precedenza, formati con aggregazioni casuali dei distretti) ed un meccanismo di maggioritario puro ( mentre in precedenza era proporzionale con liste concorrenti), esalta il ruolo delle correnti, che diventano l’imprescindibile veicolo per raccogliere un numero di voti sufficiente ad assicurare al candidato l’elezione.

Solo le correnti possono convogliare sul proprio esponente i voti di una gran parte di colleghi che non lo conoscono neppure e si limitano perciò a seguire l’indicazione dell’appartenenza. Occorre quindi andare in direzione opposta, restringendo i collegi elettorali in modo da garantire la conoscenza e il rapporto diretto tra eletto ed elettore che, meglio di ogni altro rimedio, vale a superare le pregiudiziali indicazioni correntizie. Peraltro collegi più piccoli garantiscono anche una migliore rappresentanza territoriale. Occorre poi allargare l’ambito dei potenziali candidati, superando le difficoltà legate alla presentazione delle candidature ed evitando manovre correntizie dissuasive. Viceversa immaginare una prima fase elettiva di una platea più vasta tra cui poi sorteggiare i componenti, a parte i profili di incostituzionalità rispetto all’articolo 104 della Costituzione che prescrive l’elezione dei componenti togati, finirebbe per penalizzare eccessivamente la rappresentatività delle legittime diverse sensibilità della magistratura, affidando sostanzialmente al caso la composizione dell’Organo di governo autonomo. Si potrebbe utilmente innalzare la valutazione di professionalità richiesta per l’elettorato passivo, a garanzia dell’esperienza del magistrato, ed escludere dall’eleggibilità chi ha già ricoperto ruoli a qualunque titolo al Csm e chi ricopre incarichi di vertice nell’associazionismo. Viceversa della proposta del Ministro è condivisibile la introduzione della incompatibilità tra attività disciplinare e amministrativa e il ripristino del divieto per chi cessa dal Consiglio di ottenere incarichi direttivi per un congruo periodo.

* Professore, avvocato, già vicepresidente del Csm