La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha annunciato l’introduzione della pistola Taser fra le dotazioni della Polizia di Stato, a partire dal 14 marzo. L’utilizzo, all’inizio, riguarderà 14 città metropolitane e 4 capoluoghi, per estendersi poi a tutto il territorio nazionale. La Taser si caratterizza per l’emissione di scariche elettriche ad alta tensione e bassa intensità, che immobilizzano la persona, provocandone la paralisi temporanea.

Negli Usa e nel Regno Unito il suo utilizzo è largamente diffuso, oltre che discusso. La Taser, malgrado le apparenti connotazioni di arma non letale, in realtà ha provocato diverse centinaia di morti su entrambe le sponde dell’oceano, e causato danni psicofisici permanenti a molte altre persone. Non a caso l’Onu l’ha inserita tra gli strumenti di tortura, dopo le denunce di svariate organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani.

Le numerose controindicazioni sulla Taser non hanno impedito al nostro governo di avviarne l’utilizzo. È possibile scorgere, dietro questa scelta, un filo di provincialismo italico, che si nutre storicamente della convinzione che all’estero approntino sempre le soluzioni migliori. Ma è anche probabile che l’esecutivo “dei migliori”, dotando la polizia di questo dispositivo, intenda cogliere due piccioni con una fava. Da un lato, la Taser viene utilizzata quasi esclusivamente contro autori di crimini di strada, senzatetto e occupanti abusivi. Il governo pensa quindi di potersi coprire a destra, rassicurando quella parte di opinione pubblica che reclama legge e ordine.

Dall’altro lato, il governo pensa di coprirsi a sinistra: i casi di Riccardo Magherini, Federico Aldrovandi, e di molte altre vittime degli abusi di polizia, hanno suscitato proteste in ampi settori della società civile, preoccupati dell’uso abusivo, e spesso tragico, della forza da parte degli agenti. L’introduzione della Taser potrebbe servire da palliativo verso questi settori dell’opinione pubblica, in quanto veicola il messaggio che d’ora in poi gli agenti non ricorreranno più ai manganelli o ad altri metodi che rischiano di sfociare in esiti tragici.

Si tratta in realtà di un rimedio peggiore del male, e non solo per le violazioni dell’incolumità personale. A preoccupare sono anche le scelte compiute dal governo rispetto alle forze dell’ordine. Invece di investire risorse in una formazione improntata alla mediazione, al dialogo, al riconoscimento della diversità e del pluralismo, si sceglie di puntare su mezzi di coercizione fisica che riaffermano l’imprinting repressivo delle forze dell’ordine, e allontanano ogni prospettiva di collaborazione. Ci vediamo al prossimo abuso.