Insomma, avvocato Cianferoni: è tutta colpa sua?

Ho fatto quanto era doveroso. Al processo d’appello per la strage del rapido 904, di fronte alla linea fortemente colpevolista della relatrice della Corte, la dottoressa Riccucci, ho ritenuto che si dovesse andare avanti con tutte le opzioni a disposizione ella difesa: ho presentato una memoria in cui confutavo le tesi accusatorie e chiedevo fosse ascolta- to un altro teste oltre ai 6 già individuati dalla Corte d’appello.

A quel punto era già entrata in vigore la norma che impone di rinnovare il dibattimento in caso di appello del pm.

Esatto: in virtù della mia richiesta, la Corte ha rilevato la necessità di applicare le nuove disposizioni. Ed ecco perché lunedì scorso il presidente Giardina ha correttamente rinviato a data da destinarsi: si deve rifare il processo da capo, e giacché lui non potrà più far parte del collegio, ha fermato tutto in attesa che si insedi la nuova Corte.

Luca Cianferoni difende Totò Riina in questa estrema propaggine dell’accertamento giudiziario sulla strage di 33 anni fa. Sostiene che proprio grazie alla difesa è emersa la necessità di far ripartire l’intero processo dall’inizio, con altri magistrati.

E il nuovo collegio dovrà solo ascoltare i teste?

Va rifatto tutto da zero.

Decade anche l’ordinanza con cui il 21 giugno la Corte aveva previsto la deposizione di 6 boss della mafia?

Assolutamente sì. La stessa relazione va riproposta di fronte ai nuovi giudici. Ma vede, lei per i teste usa un’espressione inappropriata.

Perché per Giovanni Brusca e Baldassarre Di Maggio l’espressione “boss mafioso” non è appropriata?

Attualmente sono collaboratori di giustizia. Al processo di primo grado hanno reso testimonianze favorevoli alla difesa. Non potranno che fare altrimenti anche in appello.

Già prima della nuova norma sarebbe stato necessario riascoltarli, viste le sentenze della Cassazione in materia.

Ripeto: la Procura ha impostato il ricorso in appello senza specifiche controdeduzioni rispetto alla sentenza con cui Riina è stato assolto in primo grado. Ha semplicemente sostenuto che il suo ruolo nell’organizzazione portava a escludere che non fosse a conoscenza della strage del 23 dicembre 1984 e, anzi, implicava la sua decisiva volontà di far mettere la bomba sul treno. Sa cosa vuol dire?

Lo spieghi lei.

Che la Procura avrebbe voluto una condanna in appello senza rinnovazione dibattimentale. Quando la relatrice Riccucci ha mostrato di condividere tale impostazione, siamo intervenuti.

Ma è stato il presidente Giardina a ordinare che fossero ascoltati i 6 teste.

Nell’udienza del 21 giugno Giardina ha rilevato con correttezza come per arrivare a una condanna si dovessero riascoltare le testimonianze, dal momento che la Cedu e la Cassazione avevano già sancito tale principio. A quel punto io ho chiesto che fosse ascoltato anche Antonino Giuffré.

È un teste decisivo?

Secondo l’accusa, Calò avrebbe preso ordini da Riina. Ora, dal processo Andreotti è emerso il legame di Calò con Badalamenti, che esclude quello con Riina. Giuffré fa parte del mandamento di Caccamo, a cui apparteneva anche Lorenzo Di Gesù, condannato proprio insieme con Calò. In quel mandamento tutti avrebbero dovuto sapere che Riina aveva ordinato a Calò la strage di Natale. Invece Giuffré ha già sostenuto che né Di Gesù né altri avevano mai sentito parlare di questo progetto stragista.

Lei ha contestato la linea del “Riina non poteva non essere il mandante”: e poi?

Chiesta la deposizione di Giuffré, il presidente Giardina ha preso atto che non poteva respingere l’istanza proprio perché nel frattempo la rinnovazione del dibattimento era divenuta obbligatoria per l’appena promulgata riforma penale.

Ma cambia la Corte e quindi si deve rifare tutto.

Certo, e questo non dipende dalla nuova norma: è un basilare principio di garanzia. Nello specifico il fatto che andremo avanti per un altro paio d’anni è un vantaggio per la difesa. D’altronde l’accusa voleva una condanna politica. Si voleva mettere il cappello sulla colpevolezza di un Riina in fin di vita.

Che intende dire?

Che condannare Riina ha un suo effetto particolare, e che però dal processo di primo grado è già emerso come non ci fosse uno straccio di prova. La sentenza pronunciata dal presidente della Corte d’assise Ettore Nicotra è stata una bella sentenza, fatta molto bene. Solo che Riina fa sempre comodo come parafulmine.

Ma l’obbligo di rinnovare il dibattimento è una novità positiva?

Un ricorso del pm su un’assoluzione è sempre debole. In questo caso ancor di più vista la qualità della sentenza di primo grado. Se si risentono i testi la realtà si riafferma anche dinanzi alla Corte d’appello in modo inequivocabile. Quindi l’obbligo sancisce un meccanismo positivo per la difesa. Lo è naturalmente anche perché rispetta il principio della formazione della prova nel contradditorio tra le parti. Ma è una riforma che ha i suoi difetti.

Quali?

A parte questioni come l’estensione del processo a distanza, assolutamente pregiudizievoli per la difesa, non si comprende l’esclusione del patteggiamento in appello per i reati di mafia e soprattutto il fatto che non si consenta di far entrare nell’appello prove del primo grado se vi è l’accordo delle parti. Questo sì che avrebbe consentito di risparmiare tempo.