Un ex pm, un ex giudice e la direttrice del carcere. Tutti e tre sono candidati allo scranno di primo cittadino di Taranto alle amministrative di giugno: coincidenza che cade proprio nei giorni in cui la Camera discute sulla norma che regolamenta la candidabilità dei magistrati in politica. Tra questi, l’ex presidente del tribunale di Sorveglianza di Taranto, Massimo Brandimarte, spiega come «il magistrato che entra in politica deve lasciare la toga» e difende l’ex collega e avversario, l’ex capo della Procura Franco Sebastio, attaccato perché corre per la carica di primo cittadino, dopo aver indagato proprio il sindaco usciente della città pugliese, Ippazio Stefano.

Brandimarte, come nasce la sua candidatura?

Guardi, l’espressione “assunzione di un sacrificio” non è sufficiente, perché la croce è talmente pesante. La mia è proprio un’opera missionaria, dopo aver ricevuto moltissime richieste da parte dei cittadini, in considerazione della mia storia professionale sul territorio. La comunità mi stima e mi apprezza e io mi faccio avanti senza paura.

Eppure, suscita quantomeno curiosità il fatto che la poltrona di sindaco sia contesa tra tre operatori di giustizia, due dei quali magistrati. Si è posto il problema dell’opportunità della sua candidatura, anche alla luce della discussione alla Camera sulla norma che regolamenta l’ingresso dei magistrati in politica?

Io credo che in questa questione siano in gioco valori non contrapposti, ma paralleli e coincidenti. Da un lato vi è l’obbligo di non sfruttare una popolarità che si è acquisita nello svolgimento del proprio ruolo di magistrato, che corrisponde all’esercizio di un potere costituzionale. Dall’altro, c’è la libertà. anch’essa sancita dalla Costituzione, di partecipare alla vita politica, in questo caso della mia città. Ecco, io credo che sia importante una scelta di campo: il magistrato che vuole entrare in politica deve necessariamente lasciare la magistratura, punto.

Esiste dunque un problema di rapporto tra toghe e politica?

Certo, è un tema di cui si discute da sempre e forse da troppo tempo, quindi un problema c’è. Per questo credo sia necessario raggiungere l’intesa sul punto, cioè l’obbligo di lasciare la toga al proprio ingresso in politica.

Ma l’essere stato un ex magistrato è stato un elemento della sua scelta di candidarsi?

Personalmente, quando ho deciso di assumere un impegno in politica, i valori che mi sono portato appresso sono quelli umani che mi hanno sempre contraddistinto come persona, non come magistrato. Io ho fatto il magistrato e ho svolto il mio compito non tanto per la preparazione che possedevo ma per la persona che sono, con la mia personalità, la mia capacità di comprensione e di mediazione. Io mi sono sempre sentito un giudice senza toga, un giudice tra la gente.

Nel caso di Taranto, siete addirittura in due ex magistrati ad essere candidati. C’è antagonismo tra voi candidati?

Assolutamente no. Il mio avversario, Franco Sebastio, è stato il mio maestro quando sono entrato in magistratura ed è una persona che stimo, sia come ex magistrato e come persona.

Il suo ex collega, però, è stato attaccato perché si candida ad una poltrona prima ricoperta da un suo indagato.

Lo dico senza mezzi termini, queste sono cattiverie gratuite. Nel caso dell’inchiesta su Stefano, Franco Sebastio ha svolto il proprio dovere come era suo obbligo professionale fare, e basta. Adesso ha terminato la sua attività di magistrato, entra in politica e il fatto che abbia svolto accertamenti di carattere giudiziario nei confronti di altre persone non implica assolutamente nulla. Questa polemica non regge: tutti i cittadini hanno pari dignità e non fa differenza il fatto di avere svolto accertamenti nei confronti di personaggi di rilievo pubblico, come di personaggi di nessun rilievo.

E dunque, lei su che cosa punta nella sua campagna elettorale?

Secondo me la chiave di volta per risollevare Taranto è l’ambientalizzazione turistica di questa città. Taranto va riscattata da una situazione di sudditanza verso l’industria e dell’arsenale militare, con tutto il rispetto per realtà che hanno prodotto lavoro. Dalla condizione attuale si esce solo tornando alle origini della città dei due mari, valorizzando il commercio e il turismo.