Se si vuole diventare penalisti bisogna fare molta esperienza sul campo, ossia nei processi, lì dove può realizzarsi l’affiancamento con avvocati esperti. È questa la strada maestra per diventare un buon avvocato penalista, come assicura Paola Rubini, vicepresidente dell’Unione Camere penali italiane, che spiega: «È opportuno considerare questa specializzazione nella sua interezza: il focus deve essere la capacità di gestire il processo, mentre non è un presupposto essere esperti di specifiche tipologie di reati, sebbene essi vadano tutti ben conosciuti, fermo restando che certamente a un avvocato può capitare di seguire più frequentemente alcune determinate fattispecie previste dal codice. È questa la ragione per cui molti penalisti sono perplessi rispetto alla suddivisione in sette sotto indirizzi, che i decreti ministeriali prevedono per il nostro settore». Il professionista che opera nel campo penale si trova spesso in situazioni non comuni a quelle dei colleghi di altri settori della professione legale, come ammette Rubini: «A differenza di chi opera nelle specializzazioni civiliste, il professionista che si occupa di diritto penale è spesso chiamato a intervenire su tutto il territorio nazionale. È inoltre un dovere deontologico avere la convinzione che il cliente che si difende goda della presunzione di non colpevolezza, sancita dalla Costituzione, e in ogni caso del diritto a un giusto processo, e a una giusta pena, in caso di dichiarazione di colpevolezza. In altre parole, più che “fare il penalista”, bisogna “sentirsi” tale, e quindi esserlo». Va detto che gli avvocati penalisti hanno maggiore visibilità rispetto ai colleghi di altre specializzazioni, almeno quando si occupano di vicende che richiamano i media, ma questo non determina un maggiore reddito, come spiega la vicepresidente dell’Ucpi: «Non ci sono elementi per affermare che gli avvocati penalisti guadagnino più dei loro colleghi specializzati in altre branche del diritto, ma al tempo stesso va ammesso che l’attività tipica di un legale impegnato nei processi penali richiede un notevole impegno quotidiano, che può arrivare anche a 14-15 ore al giorno. In effetti la posta in gioco nei processi è la libertà dell’imputato, e questo ovviamente richiede un grado di attenzione molto elevato. Tale circostanza determina poi la necessità di un rapporto molto stretto tra difensore e assistito, probabilmente maggiore che in altri ambiti della professione legale, e questo rende particolarmente importante la scelta, da parte del cliente, di un avvocato di fiducia, ma anche quella dello stesso avvocato, secondo una relazione biunivoca. Inutile però negare che in questo settore potrebbe anche accadere di non aver alcun rapporto con il cliente, come è il caso degli imputati latitanti, o anche di quelli che, per propria scelta, rimangono silenziosi. Ecco dunque un’altra peculiarità di questa specializzazione, ossia la capacità di difendere il cliente a prescindere dalla cooperazione di quest’ultimo». Ma quali sono le attività tipiche di un avvocato penalista? «Molta parte del proprio tempo – chiosa Rubini – va dedicata allo studio dei fascicoli, che vanno poi rivisti prima dell’udienza. In particolare è necessario esaminare con attenzione gli atti del processo, e trovare argomentazioni a supporto della linea difensiva del cliente, che possono in parte essere tratte dalla giurisprudenza, ma anche essere frutto di nuove questioni giuridiche predisposte dall’avvocato. Del resto buona parte della giurisprudenza penale viene creata proprio grazie alle argomentazioni degli avvocati proposte nel processo. Detto questo, per quanto riguarda la tipologia di clienti, sebbene sia prevalente l’attività difensiva degli imputati, non è secondaria l’assistenza alle vittime dei reati, ma anche l’attività di consulenza alle imprese, le quali sono sempre più soggette a conseguenze penali per la loro attività. Basti pensare al settore degli infortuni sul lavoro, o a quello della tutela ambientale». Insomma, un’attività piuttosto varia, che presenta, come in tutti gli ambiti professionali, luci e ombre, come riconosce la vicepresidente Rubini: «La professione del penalista può offrire una grande soddisfazione quando si ottiene l’affermazione dell’innocenza del proprio cliente, e più in generale, quando si ha la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere. Al tempo stesso, i penalisti sono spesso esigenti verso se stessi, per non dire perfezionisti con tendenza all’autocritica del proprio operato, circostanze che possono essere indubbiamente il lato spiacevole o problematico della professione, insieme alla eventualità, che può sempre verificarsi, di insoddisfazione del cliente». Insomma un lavoro complesso, quello del penalista, che però può essere soggetto a qualche miglioramento, a seguito della stagione delle riforme introdotte nella scorsa legislatura. «La digitalizzazione del processo – sottolinea Rubini – è sicuramente l’aspetto della riforma che può maggiormente facilitare il lavoro dell’avvocato penalista, anche per la riduzione delle attività da effettuare personalmente, comprese quelle burocratiche. Certo è che, come tutte le novità, bisognerà vedere alla prova dei fatti se queste facilitazioni saranno effettive ed efficaci. Per il prossimo futuro ci aspettiamo che la Commissione del ministero della Giustizia emani le linee guida per l’attivazione di convenzioni tra Camere penali e Università, in modo da dare avvio ai corsi di alta formazione specialistica e alla definizione dei programmi di questi corsi, costituendo essi una tappa importante per la formazione dei giovani penalisti, che per il momento possono usufruire del corso biennale della Scuola nazionale di alta formazione per la specializzazione dell’avvocato penalista, per la quale svolgo il ruolo di direttore».