Da giugno verranno forniti, installati e attivati mensilmente 1000 braccialetti elettronici, fino a un surplus del 20 per cento in più, con connessi servizi di assistenza e manutenzione per un arco temporale di 27 mesi. Da anni, ormai, centinaia se non migliaia, di persone sottoposte a procedimenti giudiziari che avrebbero potuto avere la possibilità di ottenere gli arresti domiciliari, sono rimaste dietro le sbarre a causa del numero insufficiente dei braccialetti elettronici. Come anticipato da Il Dubbio, l’anno scorso il ministero dell’Interno aveva fatto sapere che avrebbe indetto un nuovo bando di gara per la produzione di nuovi dispositivi. Così era stato fatto. Il 6 dicembre, due giorni dopo il big bang referendario, con il governo dimissionario, è stato finalmente pubblicato il bando di gara per la fornitura dei nuovi apparecchi. Il due febbraio è scaduto il termine per le offerte e la settimana scorsa sono state valutate e ammesse alla gara tre società produttrici: Fastweb spa, la Rti engineering ingegneria informatica e la Telecom italia spa. La gara di appalto a normativa europea con aggiudicazione sulla base del criterio dell’offerta più vantaggiosa, ha un importo complessivo a base di gara pari a più di 45 milioni di euro.

A giugno, se tutto andrà bene, arriveremo alla fine di una vicenda paradossale. Il problema di oggi, e che presto, si spera, si risolverà, è l’opposto di quello che si era manifestato nel corso degli anni dopo l’introduzione dei dispositivi elettronici: superata la diffidenza e i disguidi iniziali, che nei primi sei mesi del 2013 aveva portato all’attivazione di soli 26 braccialettii, la nuova modalità di concessione della misura di custodia cautelare, aveva iniziato a farsi largo nei tribunali anche grazie al decreto ' svuota- carceri' del 2013. La quantificazione dei duemila braccialetti che Telecom Italia si era impegnata a fornire, senza gara d’appalto, al ministero della Giustizia, risale all’accordo siglato con l’allora ministro Angelino Alfano dopo uno studio ad hoc commissionato sull’applicabilità della misura. ll dispositivo odierno viene gestito dalla centrale operativa grazie a un’infrastruttura di telecomunicazioni a larga banda messa a disposizione da Telecom. Il sistema fornito dall’operatore provvede anche all’assistenza 24 ore su 24, 365 giorni all’anno ( dal momento che potrebbero rendersi necessarie installazioni o controlli anche nei giorni festivi o di notte, a seconda delle necessità dell’autorità giudiziaria), e l’aggiornamento dei software agli standard più avanzati. Il braccialetto elettronico, che si applica alla caviglia, è dotato anche di una centralina, che ha la forma di una radiosveglia, che va installata nell’abitazione in cui deve essere scontata la condanna, un device che riceve il segnale dal braccialetto e lancia l’allarme per eventuali tentativi di manomissione e in caso di allontanamento del detenuto.

ll business dei braccialetti elettronici nasce nel 2001 da un accordo di due membri dell’allora governo Amato: il ministro dell’Interno, Enzo Bianco, e il Guardasigilli, Piero Fassino. Ma dei ben 400 dispositivi elettronici che il Viminale aveva noleggiato dalla Telecom, solo 11 erano stati utilizzati: in poche parole, per una decina di braccialetti utilizzati, si impose una spesa pubblica di circa 11 milioni di euro all’anno per un affare complessivo da 110 milioni di euro. Un gap che la ex ministra Cancellieri aveva tentato di risolvere con un decreto del 2013 che caldeggiava l’utilizzo dei braccialetti per le persone agli arresti domiciliari. Però, fino al 2014, ne erano attivi solo 55 in otto uffici giudiziari. Perché? La risposta è in una lettera scritta allora da una gip di Torino, Alessandra Bassi, e da un sostituto procuratore di Firenze, Christine von Borries. Furono loro a spiegare ai colleghi ignari che potevano chiamare Telecom per installare le centraline. Da allora, anche in seguito ai provvedimenti che ne incentivavano l’utilizzo, c’è stato un boom delle richieste fino a esaurire i braccialetti disponibili.