A piede libero, godono dei privilegi rispetto ai detenuti comuni, eludono la sorveglianza, possono uscire quando gli pare per andare a trovare i famigliari. È questa la situazione idilliaca di chi vive in 41 bis secondo un articolo de L’Espresso, nel quale si sottolinea che sempre più spesso i boss reclusi al carcere duro tornano a casa. Ma è vero – come dice l’Espresso – che ai detenuti reclusi al 41 bis viene concesso facilmente un permesso? Assolutamente no. Il regime del carcere duro esclude a priori qualsiasi tipo di beneficio che è invece appannaggio dei carcerati “classici”, tipo la possibilità di accedere agli arresti domiciliari, semilibertà, permessi o possibilità di lavorare all’esterno del carcere. L’unico permesso concesso – non in automatico – dal magistrato di sorveglianza è speciale. Si tratta del “permesso di necessità” ed è contemplato dall’articolo 30 dell’ordinamento penitenziario, il quale recita che «nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento, l’infermo». Permessi che ven- gono eseguiti con tanto di capillare controllo e scorta da parte della polizia penitenziaria. Inoltre tali permessi non vengono concessi in automatico e sono innumerevoli i casi di richieste respinte. L’articolo in questione parla anche di alcuni tentativi di eludere il controllo. Cita un esempio: una sim cucita all’interno dell’elastico dei boxer, il micro telefono nascosto all’interno di un pacchetto ( sigillato) di sigarette e il carica batterie in un doppio fondo della bomboletta, sotto la schiuma da barba. Questo è stato il tentativo di elusione da parte di un boss. Ma, appunto, parliamo di un tentativo, perché era stato preventivamente perquisito. E questo grazie all’ottimo lavoro del Gruppo Operativo Mobile, un reparto speciale della polizia penitenziaria che ha esattamente questa funzione: evitare che i detenuti al 41 bis possano eludere la sorveglianza. La realtà è che il 41 bis non è mai stato alleggerito da quando fu istituito. Ma non solo. Inizialmente doveva avere, appunto, un’unica finalità: recidere i contatti esterni con le rispettive organizzazioni mafiose. Con il tempo è stato modificato imponendo altre misure restrittive e criticate per la loro eccessiva durezza non solo dalla scorsa Commissione dei diritti umani presieduta da Luigi Manconi, ma anche da organismi internazionali come il Comitato Onu contro la tortura. È recente la sua critica per quanto riguarda il nostro sistema detentivo, in particolare l’applicazione del carcere duro. Ha sollevato dubbi, ad esempio, sul fatto che un detenuto possa essere sottoposto al 41 bis anche per vent’anni, nonché sull’eccessivo isolamento in cui vengono posti. D’altronde esistono casi di ultranoventenni al carcere duro. All’istituto penitenziario di Parma ce ne sono diversi, pur soffrendo di gravi patologie legate alla loro età come l’alzheimer. C’è perfino un super 41 bis, ovvero l’area riservata dove la pena si raddoppia e ci rimette anche il compagno d’ora d’aria non raggiunto da un ulteriore inasprimento. Il 41 bis è già duro, se si vuole raggiungere la sicurezza al cento per cento, dovrebbero sigillare la cella e togliere tutto, compreso le visite. A quel punto interverrebbe la Corte europea per la violazione dei diritti umani.