«In occasione del quarantesimo anniversario della strage della stazione, che provocò ottantacinque morti e oltre duecento feriti, desidero – a distanza di pochi giorni dalla mia visita a Bologna e dall’incontro nel luogo dell’attentato – riaffermare la vicinanza, la solidarietà e la partecipazione al dolore dei familiari delle vittime e alla città di Bologna, così gravemente colpiti dall’efferato e criminale gesto terroristico. Riaffermando, al contempo, il dovere della memoria, l’esigenza di piena verità e giustizia e la necessità di una instancabile opera di difesa dei principi di libertà e democrazia». A dirlo, in occasione del 40esimo anniversario della Strage di Bologna, è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Durante cerimonia del ricordo della strage del 2 Agosto 1980, celebrata in Piazza Maggiore, sono stati letti ad alta voce i nomi e l’età delle 85 vittime dell’attentato. In piazza un maxischermo ha trasmesso in streaming alle 10 e 25, ora dell’attentato i tre fischi del locomotore che simboleggiano il ricordo della strage, la deposizione di corone in sala d’aspetto, da dove, non più tardi di giovedì scorso ha parlato il presidente della Repubblica, sulla lapide che ricorda le vittime. E poi il minuto di silenzio chiuso dal fragoroso e commosso applauso della gente presente: mille i posti a sedere disponibili in piazza e altrettanti in piedi. Parcheggiato su un lato della piazza, l’autobus 37 che, la mattina del 2 agosto 1980, trasportò i morti e feriti. Dopo gli interventi in piazza Maggiore, si sono recati in stazione il presidente dell’Associazione tra le vittime, Paolo Bolognesi, la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, il sindaco di Bologna, Virginio Merola e il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini che hanno deposto corone sulla lapide delle vittime.

Casellati: «Basta segreti»

  «Basta segreti su Bologna - ha commentato Casellati -. Diamo finalmente risposte ad una città che in questi quarant’anni non si è mai data per vinta, non ha mai smesso di farsi domande e di credere nella strada della giustizia. È tempo di aprire i fascicoli, di toglierli dai cassetti- ha detto ancora Casellati - Bologna non è più soltanto un caso giudiziario: è diventata un argomento storico! E la storia non si scrive con i segreti di Stato, con i silenzi o con gli »omissis«. La storia si scrive con l’inchiostro indelebile della verità!». Casellati si è poi chiesta quale memoria vogliamo lasciare alle future generazioni rispondendo: «Non certo una memoria di depistaggi, una memoria di mandanti occulti o di interrogativi non risolti».

Bolognesi: «Finalmente la verità si avvicina»

«Sono passati 40 anni da quel torrido sabato di agosto e finalmente le speranze di ottenere una completa verità sull’episodio più atroce della storia del nostro Paese cominciano a realizzarsi», ha dichiarato Bolognesi nel corso del suo intervento sul palco. «Nel corso dell’ultimo anno, infatti - spiega Bolognesi -, nuovi importanti tasselli si sono aggiunti. Il processo per concorso in strage contro il neofascista Gilberto Cavallini non ha portato solo alla sua condanna di primo grado come quarto esecutore materiale, insieme agli altri Nar, Mambro, Fioravanti e Ciavardini, ma ha anche fatto emergere preziosi elementi che collegano gli attentatori ai Servizi segreti italiani». «I risultati della maxi-indagine sui mandanti confermano che quel vile attentato fu una bomba nera, pensata dai vertici della P2, eseguita dalla manovalanza fascista dei Nar, protetti da uomini della P2, inseriti nei punti nevralcici dei Servizi segreti», ha aggiunto Bolognesi. «Si voleva colpire Bologna la rossa. Ma nel loro progetto criminale di potere, esecutori e burattinai fecero un solo errore. Non tenere conto della reazione dei cittadini di Bologna». Su Twitter è arrivato anche il messaggio del premier Giuseppe Conte: «40 anni dalla #StrageDiBologna. Siamo al fianco dei familiari, di chi crede nello Stato, dei magistrati impegnati a squarciare definitivamente il velo che ci separa dalla verità. Lo dobbiamo alle 85 vittime innocenti, lo dobbiamo a noi stessi».