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Un reato pervasivo, spesso taciuto dalle vittime e che non trova un’adeguata risposta a livello legislativo e di assistenza sociale. È questo il quadro che emerge dalla più completa indagine a livello europeo sulla violenza contro le donne, condotta dalla Fra ( l’agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea), oggetto di discussione, ieri, nel corso del seminario organizzato dal Consiglio nazionale forense assieme alla Fondazione degli avvocati europei. Un progetto che ha l’obiettivo di formare 210 avvocati in sette diversi Stati membri ( Italia, Spagna, Grecia, Irlanda, Polonia, Irlanda del Nord, Inghilterra e Galles) per il supporto a donne vittima di violenza di genere, in virtù del ruolo di primo piano degli avvocati nella difesa delle stesse. L’incontro di ieri ha messo a confronto aspetti civilistici e penalistici degli interventi a tutela delle vittime, analizzando la fattispecie della violenza domestica e le ricadute della violenza di genere nella vita delle donne.
Al tavolo dei relatori si sono alternati esperti di diritto, che hanno poi affrontato, assieme agli avvocati che hanno preso parte al confronto, casi specifici di donne vittime di violenza, analizzando l’approccio migliore per affrontare il problema. «I magistrati non amano fare processi del genere ha spiegato alla platea Fabio Roia, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano -, ma c’è soddisfazione quando le donne ottengono, attraverso il processo penale, il riconoscimento del proprio dolore. Sono convinto che l’avvocato formato, culturalmente affinato, faccia crescere il processo. Il giudice ascolta questo tipo di avvocato - ha aggiunto -, che deve essere una sentinella. Se giudice, pm e avvocati si impegnano, allora il processo penale è anche meglio di una terapia. E questi camici neri diventano meglio dei camici bianchi».
I dati evidenziati dalla ricerca sono impressionanti: l’abuso rappresenta infatti un fenomeno diffuso, che ancora troppo spesso le donne non segnalano all’autorità, per vergogna, paura, rassegnazione. I dati raccontano che una donna su 10 ha subito una qualche forma di violenza sessuale dopo i 15 anni e una su 20 è stata vittima di stupro. Numeri che dimostrano la maturità dei tempi per affrontare il problema della violenza, specie per quanto riguarda la protezione delle vittime. Da qui la necessità di una legislazione mirata e di politiche dirette a contrastare la violenza, un reato «pervasivo» che richiede un’azione concertata tesa a contrastare i comportamenti tendenti a sopraffare le donne. «Occorre far fronte - si legge nello studio - all’insoddisfazione delle vittime nei confronti della polizia, applicando e monitorando nella pratica le disposizione riguardanti la tutela delle vittime sancite dalla Convenzione di Istanbul e dalla direttiva Ue sulle vittime». Nel corso del seminario è stato evidenziato il ruolo dell’avvocato, «che deve avere un approccio di ascolto e non di giudizio», ha evidenziato ancora Roia, che ha lamentato anche l’eccessiva durata dei processi e l’assenza di magistrati specializzati sul tema. «Va iniettato uno stato “d’ansia” negli operatori, per evitare che si siano conseguenze estreme - ha poi aggiunto -. Ogni volta che c’è un caso di femminicidio vado subito a vedere se è un caso che ho seguito io. Perché se così fosse non me lo potrei perdonare».