Nei corridoi del Tribunale di Lanusei, le date annotate sulle agende non parlano di domani, né di dopodomani. I fascicoli in attesa riportano scadenze che paiono appartenere a un futuro remoto: 2031. Non si tratta di maxi-processi né di controversie eccezionali, ma di cause ordinarie, quelle che dovrebbero trovare soluzione in tempi ragionevoli.

Invece, la cronica carenza di personale ha trasformato il calendario giudiziario in una lista d’attesa infinita. Una condizione che sta erodendo la fiducia dei cittadini e spingendo molti a rinunciare del tutto a far valere i propri diritti. A raccontare questa situazione, con toni lucidi ma preoccupati, è Vito Cofano, presidente dell’Ordine degli avvocati di Lanusei. «Il nostro Tribunale dev’essere tutelato, protetto e rafforzato» afferma senza esitazioni. Non è solo una questione di uffici e toghe, ma di un presidio di legalità che dal 1836 veglia su un territorio vasto e morfologicamente complesso: duemila chilometri quadrati di montagne, piccoli centri e strade tortuose. «La Giustizia – prosegue – è un servizio essenziale, uno dei pilastri dello Stato di diritto. Non può essere assoggettata a logiche puramente economiche, basate su freddi numeri e criteri aziendalistici. Non è un costo, ma un investimento nella convivenza civile, nell’equilibrio dei poteri e nella fiducia dei cittadini verso le istituzioni».

Un tribunale in affanno

I numeri parlano chiaro: il 60-65% dei magistrati togati previsti non c’è. «Finalmente abbiamo un presidente del Tribunale e un procuratore – ricorda Cofano – ma restano scoperte posizioni cruciali che impediscono il normale funzionamento dell’ufficio giudiziario. Con questi numeri, il principio del “giusto processo” viene messo a dura prova». La situazione non migliora passando al personale amministrativo. Nel settore notifiche, ad esempio, la scopertura supera il 60%. «Il funzionamento dell’ufficio è garantito solo dall’abnegazione di un unico dirigente, sui tre previsti. È un impegno encomiabile, ma non può essere la regola», osserva Cofano.

L’isolamento e il fantasma della chiusura

La riforma della geografia giudiziaria del 2012 aveva sfiorato il destino del Tribunale di Lanusei, salvato in extremis grazie al riconoscimento della sua importanza strategica. Oggi il governo parla di potenziamento e non di soppressione, ma il timore riaffiora ciclicamente. «Trasferire procedimenti a Cagliari o Nuoro significherebbe costringere testimoni e parti a viaggi impossibili in giornata, senza collegamenti pubblici adeguati. Per molti sarebbe la fine della possibilità concreta di partecipare al processo», avverte Cofano.

Una battaglia di civiltà

L’avvocatura ogliastrina lo ripete con forza: questa non è una rivendicazione di categoria, ma una questione di civiltà giuridica. Una giustizia lenta o inaccessibile equivale a una giustizia negata. «Quando il tempo del processo si dilata troppo – spiega Cofano – qualunque sia l’esito, la giustizia diventa ingiusta. Perché perde il suo senso, smette di essere strumento di tutela e diventa fonte di ulteriore frustrazione». In Italia, i grandi tribunali sono spesso soffocati dal peso di migliaia di procedimenti, mentre quelli di medie e piccole dimensioni, se ben organizzati e adeguatamente dotati di personale, possono garantire efficienza e tempi più rapidi. «Il paradosso – denuncia Cofano – è che invece di rafforzarli, si è pensato troppo spesso di chiuderli, scaricando altrove carichi di lavoro insostenibili».

Segnali positivi, ma non basta

Negli ultimi mesi qualcosa si è mosso: l’arrivo di quattro nuovi magistrati a dicembre, la visita del vicepresidente del CSM a giugno e l’impegno dichiarato del governo a preservare i tribunali nei territori più delicati. Segnali che hanno portato un po’ di fiducia, ma che non risolvono la questione strutturale.

«Servono interventi concreti e stabili, un piano organico per garantire ai cittadini una giustizia credibile, accessibile e tempestiva», conclude Cofano. Perché senza giustizia, ricorda il presidente del Foro di Lanusei, un territorio si svuota, si impoverisce e perde fiducia nello Stato. E quando la fiducia viene meno, a rischiare non è solo il funzionamento di un tribunale, ma la stessa coesione di una comunità.