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Tra moglie e marito non metterci di mezzo il vaccino. Già, perché tra gli effetti della campagna di somministrazione ce n’è uno tutt’altro che secondario: parliamo del boom di liti familiari esplose a seguito dell’estensione anche ai minori di 18 anni del vaccino anticovid. In Toscana sono già una ventina i ragazzi tra i 16 e i 17 anni che si sono rivolti all’Associazione Matrimonialisti per avviare una mediazione con i genitori no vax. Per ricevere una dose è infatti necessario il consenso di entrambi, e in tutte le ipotesi di contrato, quando il conflitto non si risolva in famiglia, l’ultima parola spetta sempre al giudice. Che si tratti di genitori separati, divorziati o sposati. In questi casi gli scenari sono molteplici, con esiti e soluzioni altrettanto diverse. L’avvocata familiarista Alessandra Capuano, presidente della Camera civile di Vicenza e componente esterna della commissione famiglia del Cnf, ce ne profila tre. «Paradossalmente - spiega Capuano al Dubbio - la soluzione è più semplice quando ad essere in disaccordo sono due genitori separati». A maggior ragione quando la separazione è in corso: in questo caso, infatti, il genitore favorevole al vaccino può rivolgersi, in rappresentanza del minore, al giudice già insediato in una causa pendente per ottenere l’autorizzazione. Nell’ipotesi invece che i genitori siano in disaccordo ma conviventi, c’è la possibilità di rivolgersi per le vie brevi al giudice tutelare. Lo scenario più complesso si verifica quando entrambi i genitori, convintamente no vax, siano in conflitto con il figlio. Il minore, infatti, non ha autonomo accesso alla giurisdizione e quindi non può conferire un valido mandato a un avvocato, «anche se questa è una tematica molto discussa e tutt’altro che pacifica», spiega Capuano. In questo caso, un ragazzo che desideri vaccinarsi a tutti i costi può rivolgersi alle forze dell’ordine, agli assistenti sociali o, in ultima analisi, alla procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e chiedere che sia attivata a suo favore la procedura di ascolto. Un’opportunità a disposizione di qualunque minorenne, «salvo che non lo sappia», precisa Capuano. Che sul tema della minore età avvia una riflessione più approfondita. «Continuiamo a credere che sotto i 18 anni le situazioni siano tutte uguali, ma in realtà abbiamo fasce di età all’interno delle quali differiscono le libertà e le potestà accordate al minore», spiega la legale. Fino a 14 anni il minore non ha possibilità di far valere all’esterno la sua volontà tranne quando sia chiamato in un giudizio che lo riguarda. «Ma ricordiamoci che a 14 anni, secondo la legge europea - sottolinea l’avvocata - un ragazzino può prestare il proprio consenso per creare un profilo social, e con certe autorizzazioni, tra i 14 e 16 anni, può già lavorare. Non si capisce perché un’analoga volontà non possa valere in ambito sanitario». Per questo, conclude Capuano, «credo che sia venuto il momento che anche i tribunali e gli avvocati riflettano sulla maggiore età, che molti ritengono debba essere ridotta ai 16 anni».