«Il Primo emendamento protegge la libertà di espressione in ogni sua forma, ma l’avvocatura condanna l’hate speech». Hilarie Bass, presidente della American Bar Association spiega le diversità del sistema americano rispetto a quello europeo in materia di libertà di espressione.

Su cosa si concentra il dibattito pubblico americano, riguardo allo sviluppo del web?

In America uno dei temi più sentiti è quello della cybersecurity. Oggi le informazioni sensibili sono conservate digitalmente e dunque il contrasto all’hacking informatico è uno dei temi di questa era.

Esistono armi per contrastare i crimini sul web?

È una minaccia globale che può venire da ogni parte del mondo, per questo non è pensabile risolverla in una sola giurisdi- zione. Ecco perché eventi come il G7 dell’avvocatura sono fondamentali: sono occasioni di incontro per creare cooperazione e prassi comuni su questioni di portata mondiale.

Ritiene che servirebbe un’intervento normativo?

Scrivere leggi non è sufficiente. Combattere i crimini sul web è possibile solo con una partnership pubblico- privato. È una responsabilità individuale: le società devono imparare come proteggere i loro dati e lo stesso vale per i singoli cittadini.

Come viene affrontato in America il problema dell’hate speech sul web?

È una questione molto dibattuta, ma la nostra legislazione è diversa rispetto a quella europea. Il Primo emendamento protegge la libertà di parola e dunque impedisce conseguenze penali, però società private come Facebook applicano una policy contro l’hate speech.

La legislazione in materia, quindi, non è possibile?

No, non è possibile legiferare contro l’hate speech. Si tratta di un principio recentemente confermato dalla Corte Suprema, che ha scritto: “Alcuni discorsi hanno un contenuto odioso, ma noi siamo fieri di proteggere il diritto di espressione, anche dei pensieri che odiamo”. Si tratta di una speciale forma di bilanciamento: pur riconoscendo che l’hate speech è un problema, la Costituzione offre piena garanzia alla libertà di espressione.

E l’avvocatura, invece, come può intervenire?

L’avvocatura americana di esprime in modo forte contro l’hate speech. Come presidente della ABA ho rilasciato un comunicato stampa sui fatti di Charlottesville, in cui ho sottolineato l’importanza del valore della diversità e dell’uguaglianza tra cittadini e come ogni tentativo di sminuire una comunità da parte di un’altra è negativo per la società. I fatti sono avvenuti sotto la garanzia del Pri- mo emendamento, ma vanno condannati.

Nell’era del web, quali pericoli corre un avvocato?

Oggi l’avvocato ha il primo imperativo di tutelare il segreto professionale con il proprio cliente. Si tratta di un obbligo professionale ma anche una sfida: i nostri clienti devono essere sicuri che, quando condividono con il proprio legale informazioni sensibili, l’avvocato farà di tutto perché la sua privacy sia totale e protetta.

In Italia c’è un acceso dibattito sulla questione dell’impropria pubblicazione di atti processuali. È un problema in America?

I giornali ricadono sotto la tutela del Primo emendamento e la pubblicazione non può essere limitata da alcuna legislazione. Dunque, se un soggetto cede volontariamente a un quotidiano informazioni anche in materia processuale, la pubblicazione è generalmente possibile. Questioni giuridiche si pongono solo nel caso in cui il giornalista abbia ottenuto queste informazioni in modo improprio o illegale.