Laura Boldrini è appena reduce dal suo lungo e appassionato intervento. È attorniata dalle telecamere. Un cronista vuole il nome del colpevole: «Presidente, ha detto che alcune forze politiche approfittano del linguaggio dell’odio per accrescere il consenso: a chi si riferisce?». Non accetta il gioco della polemica spicciola, la presidente della Camera. È chiaro che si tratta del Movimento cinquestelle, ma metterla su quel piano, in una giornata del genere, sarebbe tragicamente riduttivo. No, non è possibile, nel giorno in cui i massimi vertici istituzionali e della magistratura hanno raccolto l’invito dell’avvocatura mondiale, e in cui tutti insieme hanno concordato che, quando si tratta di odio in rete, non è in gioco il prossimo sondaggio sulle Politiche, ma il futuro stesso della democrazia.

L’incredibile, per il suo coraggio, incontro organizzato ieri a Palazzo della Cancelleria a Roma dal Consiglio nazionale forense porta a un primo, notevole passo delle avvocature dei G7 verso una nuova responsabilità: «Mettersi al servizio della politica per individuare le regole che anche nella rete devono equilibrare i grandi poteri», come dice il presidente Andrea Mascherin nel suo intervento. Il primo G7 dell’avvocatura si conclude dunque con una dichiarazione comune, firmata dai rappresentati delle rispettive organizzazioni forensi e concepita come l’inizio di un percorso. Ci si propone di «approfondire, attraverso un confronto costante e fertile, i temi oggetto dell’incontro». Non è un caso che al primo posto venga inserita la «educazione ad un uso consapevole e responsabile di internet». Perché, come una delle sessioni ha chiarito, senza una nuova pedagogia, la dialettica della modernità si riduce a urlo scomposto se non a barbarie. Ma nel “draft statement” finale c’è un altro lemma, conciso ma decisivo: “Effettività delle tutele”. Ecco: le regole di principio devono essere insegnate, ma anche fatte rispettare. Altrimenti, come ricorda Boldrini, la loro evanescenza «va a scapito dei più deboli».

È giusto tenere presente quello che Mascherin non manca di ricordare nel suo intervento della mattina: «Una figura come quella della presidente della Camera pagato spesso personalmente le conseguenze del linguaggio d’odio». Boldrini lo ricorda a propria volta. Ma da vittima di ripetuti attacchi, e alfiere della battaglia per una vera civiltà della rete, si trova finalmente circondata da alleati. Le avvocature innanzitutto. La loro capacità di mobilitare altri presidi della democrazia. E ancora Boldrini, in quanto sintesi dei bersagli contro cui sparano i vigliacchi del web, può verificare che in giro la consapevolezza della questione è a uno stadio molto, ma molto avanzato. Da diversi punti di vista.

Una vittima dell’odio in rete, magari una donna, magari una donna come la terza carica dello Stato, può constatare che il presidente degli avvocati italiani ha ben chiara la posta in gioco: «La diga della libertà di tutti i popoli, che rischia di essere travolta dal diluvio dell’odio». Mascherin insiste nella metafora e parla dell’ «arca dei diritti». Ossia, la nuova civiltà della comunicazione umana che deve sostituirsi alla distruzione della dignità.

Una vittima, una donna, una figura pubblica come la presidente della Camera o chiunque sia esposto a quella barbarie, deve anche constatare che un giurista di straordinario spessore come il presidente della Cassazione Giovanni Canzio ha compreso benissimo che si tratta non solo di confusione, ma anche di manipolazione. Il vertice della Suprema corte commuove addirittura quando conclude il suo intervento di ieri mattina con una lunga citazione di 1984, quella in cui, come spiega all’inizio, viene definito «l’odio degli indignati da fake news», l’indimenticabile passaggio in cui George Orwell ci scaraventa nell’infernale liturgia dell’odio contro il nemico, Goldstein, un’isteria collettiva che non è nient’altro se non «un volontario ottundimento della coscienza». Canzio cita titolo del capolavoro, nome dell’autore e poi dice: «Sett’annni fa. Grazie. Ho finito». L’applauso che segue è il rovescio della liturgia di cui sopra: com’è possibile che non ci accorgiamo di quanto la manipolazione attraverso l’odio in rete sia non solo una profezia, ma un trucco chiarissimo e che perciò non dovrebbe ingannare nessuno?

Nella lunga e ricchissima giornata emerge che i sospetti nei confronti dei gestori della rete sono molteplici, diffusi e condivisi. Naturalmente il confronto tra le diverse avvocature fa emergere, come riconosce lo stesso documento finale del G7 di ieri, che «esperienze, principi, valori e norme giuridiche» non sono le stesse in tutti i Paesi. Eppure la spinta a intervenire nei confronti dei colossi del web è chiarissima. La evoca Mascherin quando ricorda che «il mercato senza regole, con la crisi, ha prodotto epocali danni economici» e che, allo stesso modo «una rete lasciata ai monopolisti dei dati mondiali, senza regole e presidiata dai portatori d’odio» porta ad analoghe conseguenze per la stessa «libertà dei popoli». E forse un passaggio ancora più “pesante” della giornata di ieri, sul piano politico, arriva proprio da una figura di governo, il ministro della Giustizia italiano Andrea Orlando, che ha il coraggio di instillare il seguente dubbio: «La rete è spesso condotta da meccanismi che orientano le opinioni. Il punto fondamentale è: quali sono gli algoritmi che la guidano? La conoscenza di questi algoritmi è il tema che oggi attiene direttamente al futuro della nostra democrazia». Il grande fratello è solo nella letteratura, o lo abbiamo già sopra le teste, come in fondo lo stesso Canzio sembra voler ammonire con la sua citazione?

Nel titolo dell’evento, «storico» come lo definisce Mascherin, aperto alle 9.30 da Maria Elena Boschi e concluso dal guardasigilli, era già annunciato il coefficiente di difficoltà della sfida: “Sicurezza e linguaggio dell’odio. Tutela della persona e protezione dei dati personali: i diritti nell’era dei social media”. Di fatto, il richiamo alla necessità di una nuova Convenzione internazionale dei diritti. Boldrini ricorda la “dichiarazione dei diritti e dei doveri di internet” messa a punto dalla commissione istituita in Parlamento.

L’ambasciatore Raffaele Trombetta ricorda che precedenti vertici internazionali, da ultimo il G7 di Taormina, non hanno affatto ignorato la questione. Con opportuna brutalità, Il garante europeo della Privacy Giovanni Buttarelli fa notare che «non possiamo contrastare gli imbecilli della modernità con gli strumenti del passato». Il presidente dell’Anm Eugenio Albamonte è spietato nel ricordare che non si va da nessuna parte se un italiano offende un connazionale e quest’ultimo deve fare i conti con norme sulla conservazione dei dati che in Italia ne prevedono la conservazione per un anno e in Silycon Valley per 90 giorni. Sono gli stessi paradossi evocati dal garante italiano Antonello Soro, dallo stesso ministro Orlando, dal vicepresidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi. Le nuove regole servono, sono urgenti, dunque. Ma c’è quel rischio manipolativo che le può far passare come tentativo di censura del potere politico contro la democratica espressione delle opinioni. E allora, per evitare che vincano i manipolatori, fa premio su tutta la giornata quiello che la sotrtosegretaria alla Presidenza Boschi dice quando si è appena cominciato: «Servono i ministri. Ma senza i maestri, non si va da nessuna parte». Se non si guadagna consenso fin dalla prima formazione, il cittadino non crederà neppure che un’altra ciciltà della rete è possibile.