“L’inganno. Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene”, l’ultimo libro del giornalista Alessandro Barbano, è stato al centro di un interessante dibattito organizzato ieri dalla Camera Penale di Roma presso l’Aula Occorsio del Tribunale. A moderare i lavori Antonella Marandola, ordinaria di diritto processuale penale Università del Sannio. A inaugurare il dibattito il presidente dei penalisti romani, Gaetano Scalise: «Le misure di prevenzione compiono quest’anno 160 anni. Nascevano nel 1863 come misura eccezionale ma col tempo hanno assunto una pervasività incredibile, tanto che oggi l’Accademia parla di vera e propria pena patrimoniale».

Poi ci sono stati i saluti del presidente del Tribunale Roberto Reali che ha ringraziato la Camera Penale per aver organizzato «questo convegno importante» e ha ricordato «l’intervento della stessa Camera all’inaugurazione dell’anno giudiziario in relazione allo specifico tema del carcere e dell’esecuzione della pena».

Il primo vero intervento è stato quello di Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Ucpi, che ha dovuto lasciare subito il convegno per andare alla prima riunione del nuovo “Comitato tecnico- scientifico per il monitoraggio sull'efficienza della giustizia penale e gli effetti sul Pnrr” in cui è stato nominato da poco: «Il libro di Barbano è straordinario, testimonianza di coraggio civile su un tema delicato come questo. Lo ha affrontato dando voce alle tante “storie di dolore” di chi subisce l’uso distorto degli strumenti di prevenzione per la lotta alla criminalità organizzata. Il volume andrebbe letto da chi applica le misure di prevenzione, divenute strumento di perseguimento degli illeciti quando la strada maestra del processo penale ha portato ad una assoluzione».

A seguire il sociologo Giuseppe De Rita: «Le cose che dice Barbano nel suo libro sono incredibili ma provocano una ondata di opinione? Questa è la domanda che dobbiamo porci. Se tratti in pubblico queste questioni come fa l’autore allora vieni trattato come un traditore di Pio La Torre o di Giovanni Falcone. E allora bisogna trovare il modo di creare una onda di opinione su questo volume. La mia speranza è che questo sia solo l’inizio di una lunga serie di racconti di persone che non potevano parlare. Va rotto questo mutismo».

Per il Governo ha parlato il vice ministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto: «Barbano con questo suo libro ci consegna una radio cronaca delle misure di prevenzione. Il suo racconto riafferma valori costituzionali imprescindibili, quali il diritto di difesa, rimarcando la difficoltà per molti di difendersi in particolari contesti, in cui la prevenzione spesso si trasforma in repressione. Il sospetto – chiediamoci – può essere tale da incidere sui diritti dei cittadini?». Però, dice il senatore di Forza Italia, «attenzione a non scambiare la lotta alla mafia con le responsabilità personali di amministratori e pubblici ministeri troppo zelanti». In sintesi, «non mi sento di condannare il sistema ma sicuramente ci sono delle patologie che vanno sanate».

L’unica voce assolutamente dissonante all’interno del panel è stata quella del pubblico ministero della Dda di Roma, Mario Palazzi: «Il mio non può che essere un giudizio negativo per quello che c’è e non c’è nel libro». Secondo Palazzi è la comparazione con le altre giurisdizioni, come quella statunitense «dove il 98% delle confische avviene per via amministrativa tramite la Dea o l’Fbi e solo il 20% viene contestato perché il ricorso è troppo costoso», a doverci spingere a dire «di tenerci stretto il nostro sistema. Certo, è passibile di alcune censure, la giustizia è umana per cui ci possono essere degli errori, ma si è evoluto nel tempo grazie ad un fecondo dialogo tra le Corti nazionali ed europee».

Secondo il magistrato, l’autore del libro compie un errore metodologico: «Dalle storie seppur dolorose che racconta trae la conseguenza che tutto il sistema è sbagliato. Questa sineddoche è un approccio ermeneutico

sbagliato che, tra l’altro, non sente neanche l’altra campana». Per concludere, Palazzi si dice «orgoglioso della risposta italiana. Qui non siamo a Guantanamo, non abbiamo tradito i valori costituzionali ma abbiamo la forza di affermare la giustizia seguendo le regole». È stato poi il momento dell’ex magistrato Gherardo Colombo che, ammettendo che «altrove succede di peggio», si è chiesto tuttavia: «La prevenzione affidata direttamente al giudice diminuisce le garanzie nei confronti delle persone coinvolte?». Ha evidenziato poi che il «contrasto tra l’esito del processo e quello delle procedure di prevenzione rappresenta un qualcosa che non funziona».

Per lui «occorre fare un passo indietro e domandarsi se è possibile risolvere la questione, affrontando il problema prima che si arrivi nella sfera del penale. La questione maggiore è quella dell’educazione al sistema della nostra Costituzione».

Poi ha preso la parola l’avvocato del Foro di Roma Gianluca Tognozzi: «La misura di prevenzione è guerriglia. Ogni volta che una azione dei pubblici ministeri non è andata a buon fine, cinque giorni dopo è arrivata la guerriglia con l’applicazione della misura di prevenzione, senza le regole della guerra e del processo. La categoria del pericoloso generico non ha nulla a che fare con la legislazione antimafia».

Secondo il legale sono tre gli aspetti da stigmatizzare: «I beni del pericoloso generico vengono sottoposti a sequestro e poi confisca con violazione di tutte le regole del sistema. La misura di prevenzione è discrezionale. Il sequestro anticipato dei beni viene deciso dal giudice che poi fa tutta l’istruttoria e decide poi se applicare o meno la confisca. Ed è incredibile che quella istruttoria è totalmente nelle mani della polizia giudiziaria».

Dopo circa due ore ha parlato finalmente l’autore, Alessandro Barbano: «Non sono un giurista e rivendico il fatto di aver guardato dall’esterno questo fenomeno con l’occhio del giornalista. Il libro non riguarda solo le misure di prevenzione ma fa emergere una tendenza: ossia lo slittamento dalla colpevolezza alla pericolosità, che è diventata una vera e propria psicosi». E replicando a Palazzi: «Non sono caduto nella sindrome della sineddoche. La confisca fuori da un giudicato non esiste in nessun Paese. Io contesto questo sistema, la cultura inquisitoria sottesa ad esso e la sua trasformazione in una guerriglia».

Infine ha chiuso i lavori il vice presidente della Camera Penale di Roma, Giuseppe Belcastro: «Questo libro ha un grandissimo pregio, ossia quello di raccontare finalmente i fatti che stanno dietro alle misure di prevenzione e al doppio binario, partendo dai dati reali e non dallo storytelling ufficiale. Delle cose è importante come vengono fatte, ma anche come vengono narrate. Per la prima volta Barbano offre una narrazione fedele». Si è poi chiesto: «Come possiamo spiegare al cittadino lo iato tra le misure di prevenzione e il buon senso: in un’aula vieni assolto e nell’aula accanto ti confiscano i beni?».