In Cassazione è di casa. L'aula austera dell’Ordine degli avvocati di Roma, in Piazza Cavour, è stata attraversata dall'emozione e dalla commozione. I sentimenti più umani che non risparmiano neppure i grandi maestri del diritto. Franco Coppi qualche giorno fa è stato protagonista della cerimonia per i sessant’anni di iscrizione all’albo dell’Ordine capitolino. Una giornata indimenticabile per la comunità forense che ha omaggiato l’illustre collega, a partire dal presidente del Coa Paolo Nesta.
Nel suo intervento il professor Coppi ha rivolto lo sguardo al passato, ma allo stesso tempo si è rivolto ai colleghi che muovono i primi passi nell’impegnativa professione forense. Parole che rappresentano un prezioso insegnamento per chi ogni giorno indossa la toga e si reca in Tribunale. «Mi hanno insegnato – ha detto Franco Coppi - quanto fosse vera quell’affermazione di Piero Calamandrei, il quale disse che il giudice non deve e non può essere compassionevole. L’avvocato, invece, sì. Deve essere compassionevole, perché deve saper patire con il proprio cliente la passione che lui stesso vive. Questo è il messaggio che noi dobbiamo lasciare ai giovani. Guardate ai grandi del passato. Io sono stato molto fortunato, quando ho iniziato la professione, quando ho raggiunto la prima volta il palazzo della Cassazione e ho incontrato Carnelutti, dopo pochi passi De Marsico, poi ancora Delitala. Senza tralasciare i magistrati che erano all’altezza di questi avvocati. Da lì ho imparato tanto, ho guardato sempre a loro con ammirazione, come modello, per migliorare e poter dare sempre il massimo. Soltanto così possiamo stare a posto con la nostra coscienza. Guardate ai grandi e imparate a compatire». Tra i maestri di Coppi figura Giuliano Vassalli, già ministro di Grazia e Giustizia e padre del codice di procedura penale del 1988.
Franco Coppi è considerato uno dei migliori avvocati italiani e ha rappresentato la difesa in processi molto importanti in cui sono state scritte pagine della storia del nostro Paese. Risale ad una trentina di anni fa il processo di Palermo – il cosiddetto “processo del secolo” - in cui il leader della Dc Giulio Andreotti venne accusato per aver commesso reati di partecipazione mafiosa. Andreotti è stato difeso da Franco Coppi anche nel processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Da un leader all’altro sempre con la stessa attenzione e dedizione. Un altro importante esponente politico ed ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, decise di farsi assistere dal noto penalista. Una scelta rivelatasi azzeccata. Nel processo Ruby-ter il leader azzurro (scomparso nello scorso giugno) è stato assolto in primo grado dall’accusa di corruzione in atti giudiziari «perché il fatto non sussiste». Berlusconi venne accusato di aver versato somme di denaro ad alcune ragazze che avevano partecipato alle feste di Arcore. L’accusa era convinta che si trattasse di corruzione: secondo i pm, i soldi venivano usati per indurre le giovani a non testimoniare nel processo a carico del fondatore di Forza Italia. Con l’assunzione della difesa da parte di Coppi abbiamo assistito ad un cambio di rotta nelle strategie difensive e nella comunicazione all’esterno. Meno aggressività, meno ricerca dello scontro frontale con le Procure, meno vittimismo, argomentazioni giuridiche curate nei minimi particolari e finalizzate a smontare, pezzo per pezzo, le tesi dell’accusa. Il “metodo Coppi” si è rivelato vincente.


Non solo nomi altisonanti, politici, imprenditori. Tra gli assistiti dell’avvocato Coppi figurano persone comuni, coinvolte in casi giudiziari che hanno riempito le pagine di cronaca nera. È il caso di Sabrina Misseri, condannata con la madre, Cosima Serrano, all’ergastolo per l’omicidio della quindicenne Sara Scazzi, avvenuto ad Avetrana (Taranto) nell’estate 2010. Evitare il carcere a vita è stata un’altra missione delicata per Coppi. Un cruccio non aver potuto dimostrare l’innocenza di Sabrina Misseri. La pena all’ergastolo è stata definita «ingiusta» e «mostruosa» dal penalista romano.
Nel 2017, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, Franco Coppi affermò che «i cosiddetti casi “di cronaca” consentono di vedere le sfaccettature della vita, capisci molto della natura umana, entri nei moventi dell’agire degli individui, scopri i meccanismi di giustificazione che le persone cercano per i propri comportamenti. È affascinante, ogni volta è quasi una lezione di psicologia». Ancora una volta emerge l’approccio compassionevole, richiamato qualche giorno fa nell’aula del Coa di Roma, in Cassazione. Franco Coppi ha fatto dell’approccio compassionevole una missione. Un modo di affrontare il lavoro, da sessant’anni in studio e nelle aule giudiziarie, con la toga diventata una corazza e una seconda pelle. L’approccio compassionevole è inevitabile per costruire al meglio la difesa – sempre diversa, secondo il caso giudiziario – e dedicare attenzione ai propri assistiti. Questi ultimi non sono solo nomi e cognomi sugli atti difensivi, ma persone in carne ed ossa con i loro sbagli o azioni inenarrabili. Persone alle quali va sempre garantito il diritto inviolabile scolpito nell’articolo 24 della Costituzione.