«C’è un aspetto da mettere bene a fuoco: la professione forense è in una transizione, per certi versi epocale». Leonardo Arnau, consigliere Cnf, sceglie una premessa che supera il dettaglio delle singole modifiche, per illustrare il testo della nuova, possibile legge professionale. Lo fa in una cornice “esterna” all’avvocatura, la Camera dei deputati, grazie all’iniziativa di un parlamentare, a propria volta avvocato, sempre attento al mondo legale: Devis Dori di Alleanza Verdi Sinistra.

È il deputato che presiede anche la Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio ad aver promosso la conferenza stampa in cui ieri pomeriggio, con lui e con il consigliere Arnau, sono intervenuti anche il delegato di Cassa forense Giuseppe Fera, l’avvocata Jessica Mignano, impegnata come tutor negli esami di abilitazione, e la redattrice giuridica Martina Cicalò, che ha moderato il dibattito.

Dori ha un legame particolare con i giovani avvocati, e chiede ad Arnau di «presentare soprattutto le scelte che, sul tema dell’accesso alla professione, hanno compiuto i tavoli di lavoro istituti, per “scrivere” la proposta di riforma, presso il Cnf, ma allargarti a tutte le componenti dell’avvocatura». Ebbene, Arnau parte appunto da un presupposto generale che riguarda i futuri colleghi ma non solo: «Se mi fossi addormentato nel 2020 e mi risvegliassi solo oggi, troverei un panorama rivoluzionato, soprattutto dallo svuotamento delle sezioni civili in tutti i tribunali. Un problema, ereditato sì dal covid, ma che ora incide sulla trasparenza della giurisdizione. Aggiungo: già nel lontano 1921, un saggio di Piero Calamandrei, edito per Ponte alle Grazie, era intitolato ‘Troppi avvocati’», dice con tono per nulla sibillino il consigliere nazionale forense, «constatazione tuttora corrispondente alla realtà».

Ed espone le statistiche che vedono, sì, in calo gli iscritti a Cassa forense, ma indicano ancora nella cifra record, a livello europeo, di 233mila, il numero degli avvocati italiani. «Il che un po’ ridimensiona la portata di quel calo che riguarda anche gli iscritti all’esame, precipitati dai 26mila del 2020 agli 11mila della sessione 2024-2025». Tutto va messo in relazione non semplicemente con il mercato, ma con il sistema in generale, insomma. Prosegue Arnau: «La proposta per la nuova legge professionale forense», scandita, come ha ricordato un attimo prima l’onorevole Dori, in ben 92 articoli, «è il frutto di un lavoro allargato a tutte le componenti dell’avvocatura: non solo il Cnf, ma anche Ocf, Cassa forense, i presidenti di tutti gli Ordini distrettuali e tutte le associazioni maggiormente rappresentative». Un’elaborazione davvero comune, trasmessa lo scorso 29 aprile a tutti i parlamentari delle commissioni Giustizia.

È Dori a ricordare come il ministro della Giustizia Carlo Nordio abbia già chiarito quale potrebbe essere l’iter del testo predisposto dagli avvocati: «Il guardasigilli ipotizza un disegno di legge delega governativo». Ed è quanto Nordio ha risposto sia a lui, il deputato di Avs, sia al capogruppo Giustizia di FdI al Senato Gianni Berrino, che aveva ottenuto il chiarimento del ministro nel corso del question time.

«Ebbene, in quel disegno di riforma», puntualizza Arnau, «la parte riguardante l’accesso alla professione è centrale e giustamente dettagliata. Prevede per la prima volta un coordinamento con le università, in modo che chi guarda a un futuro da avvocato possa trovare già durante gli studi un percorso adeguato. Si introduce per la prima volta la compatibilità fra il tirocinio e un’attività lavorativa subordinata. Si prevede la possibilità che il praticante riceva un compenso dal dominus, che tale compenso sia concordato, e sono sanciti come obbligatori i rimborsi spese. Ma attenzione», ricorda il consigliere Cnf, «ipotizzare che oggi un aspirante avvocato possa trovarsi a svolgere il tirocinio senza essere retribuito è irrealistico, considerata la diminuzione del numero dei praticanti e la richiesta che comunque proviene dagli studi legali. Oltretutto», continua Arnau nell’illustrare la proposta di riforma professionale, «il testo prevede il superamento del patrocinio sostitutivo, in cui cioè il tirocinante dipende dagli spazi concessi dal dominus, in favore dell’abilitazione al patrocinio autonomo».

Certo, per agevolare il giovane che si proietta verso la professione forense, si era pensato, negli scorsi anni, anche alla leva previdenziale, come ricorda nel proprio intervento il delegato della Cassa Giuseppe Fera: «Nella prima stesura del nuovo regolamento, della nostra riforma previdenziale, era stato previsto che, per quattro anni a partire dal praticantato, non fosse dovuto un contributo minimo, ma che si dovesse versare solo una quota calcolata in proporzione al reddito prodotto. Peccato che gli apparati dei ministeri chiamati a esprimere il consenso non abbiano compreso l’utilità, evidente, di quella modifica».

Ma intanto c’è almeno la novità introdotta con il covid, ed evocata sia da Arnau che da Dori, della prova scritta che, nell’esame di abilitazione, non sarà più triplice, ma ridotta a un solo elaborato, come avviene già da due sessioni. Almeno in questo, l’eredità della fase pandemica non è stata negativa.