È il terzo anno consecutivo che il numero di avvocati italiani diminuisce. Non si può più quindi parlare di un fenomeno congiunturale, bensì di uno strutturale. Infatti, dal record di iscritti alla Cassa forense alla data del 31 dicembre 2020, con 245.030 professionisti (raggiunto paradossalmente proprio nell’anno del Covid-19), si è via via scesi a 241.830 (2021), poi a 240.019 (2022), e infine a 236.946 (2023).

Ma perché diminuisce il numero di avvocati? Il rapporto sull’Avvocatura 2024, predisposto dal Censis, con la collaborazione di Cassa Forense, basato su circa 26mila questionari compilati da altrettanti avvocati, fornisce qualche indicazione sulle ragioni per cui oggi è più difficile fare l’avvocato, come d’altronde dimostra l’evidente calo di praticanti negli studi, fenomeno denunciato in tutta Italia, e che è stato ribadito in occasione del convegno di presentazione del rapporto, che ha avuto luogo l’8 maggio a Roma.

Infatti, come si legge nella tabella 10 del Rapporto, un terzo degli avvocati intervistati (34,6%) ha ammesso di aver considerato di lasciare la professione per una serie di motivi. Tra questi, il principale è l’eccessivo livello dei costi, e quindi la scarsa o nessuna remuneratività dell’attività forense, che è stata indicata dal 63,2% di quel 34,6% di avvocati che considerano la possibilità di abbandonare la professione legale.

Il secondo motivo che può suggerire di cambiare mestiere agli avvocati è il calo della clientela, che viene denunciato dal 10,1% dei professionisti che stanno considerando di chiudere lo studio. Un’altra ragione è che l’avvocatura non suscita più tanto fascino, o meglio, che ci si sente attratti da altre attività professionali o lavorative, come segnala il 7,3% degli avvocati scoraggiati. Un 7,1% indica come ragione dell’ipotesi di chiusura dell’attività il dato anagrafico, ossia il raggiungimento dei presupposti per il pensionamento, sebbene 15.423 avvocati in pensione ancora esercitano la professione, come segnalano i dati della Cassa Forense. Vi è poi un 2,4% che ha deciso di dedicarsi alla famiglia, e non ci vuole molta intuizione per immaginare che si tratti prevalentemente di professioniste alla soglia della maternità, o nelle fasi successive. Infine il 9,9% degli avvocati intervistati ha attribuito ad ulteriori motivi (non specificati) il possibile desiderio di cambiare vita professionale.

Questo spaccato delle difficoltà che gli avvocati incontrano nella loro vita professionale, è integrato dalla tabella 22 del Rapporto, dove si elencano i principali fattori di rischio per i redditi futuri degli avvocati. Non costituisce quindi una sorpresa che siano, nel loro complesso, gli adempimenti amministrativi e fiscali, e l’eccessiva burocratizzazione, la principale fonte di rischi, che è dichiarata tale dal 37,7% dei 26mila avvocati intervistati. Infatti, questi fattori rappresentano anche una voce di costi, ed è quindi coerente con quanto emerso nella tabella 10.

Al secondo posto compare il ritardo dei pagamenti dei clienti privati (persone fisiche, imprese), ammesso dal 35,7% dei professionisti forensi che hanno partecipato al sondaggio, a cui va aggiunto il ritardo dei pagamenti della Pubblica Amministrazione, fatto presente dal 8,1% del campione.

Il terzo fattore di rischio è la sovrabbondante offerta di servizi legali, in considerazione dell’eccessivo numero di avvocati (32% dei professionisti la pensa così), circostanza che conferma il secondo motivo per l’uscita dalla professione, ossia il calo della clientela.

A questo si aggiunge la concorrenza di altre professioni (apertura dei servizi legali ad altri professionisti non avvocati), che rappresenta per il 13,5% dei soggetti che hanno compilato il questionario un vero problema.

Anche la macchina della giustizia contribuisce a far sentire meno sicuri gli avvocati, visto che, da una parte, l’eccessiva durata dei processi, oltre alla instabilità normativa (accusati dal 23,4% degli intervistati), e dall’altra, gli alti costi di accesso alla giustizia (15,6%), costituiscono elementi problematici della professione.

Altri fattori di rischio percepiti sono l’Intelligenza artificiale (6%), la limitazione delle competenze e/o le incompatibilità professionali (4,5%), e infine l’invecchiamento dei professionisti, reso più grave dall’insufficiente ricambio generazionale (4,4%). Infine la quota restante del 3,9% degli intervistati ha genericamente indicato altri fattori di rischio. Il rapporto indica anche le percentuali relative a questi fattori di rischio articolati a seconda del genere dell’intervistato. Se la maggior parte dei fattori di rischio raccolgono grosso modo le stesse quote di consenso, e quindi non vi sono grandi differenze tra avvocati e avvocate, ve ne sono altri la cui importanza cambia a seconda del sesso.

Il principale di questi fattori che sono percepiti in modo diverso è il ritardo dei pagamenti dei clienti privati, che rappresenta per le donne il problema n. 1, essendo denunciato dal 40,4% delle professioniste che hanno compilato il questionario, mentre costituisce un problema solo per il 31,5% degli uomini.