Il fuoco è divampato giovedì scorso quando a Urumqi, una citta di quattro milioni di abitanti, capitale regionale dello Xinjiang, in Cina, è scoppiato un incendio che ha provocato la morte di dieci persone. Subito dopo e esplosa la furia, a centinaia sono scesi nelle strade dando vita alle piu grandi e inattese manifestazioni da quando si è insediato il presidente Xi Jinping un decennio fa.

Secondo gli abitanti la strage è stata causata dalle rigidissime misure di blocco anti Covid che avrebbero ostacolato i soccorsi immediati. Basti pensare che ai residenti di Urumqi è stato impedito di lasciare le proprie abitazioni per ben cento giorni. Ma le dimostrazioni si sono ben presto propagate alle maggiori città della Cina. Domenica si calcola che almeno un migliaio si siano scontrati con la polizia a Shangai, nelle prime ore di ieri altri abitanti in massa hanno bloccato la circonvallazione enorme di Pechino. Ma ancora a Wuhan, Chengdu e in altri centri monta la protesta mentre la polizia si prepara a intervenire in maniera ancora più massiccia. Sebbene il fattore scatenante a sia il lockdown draconiano in Cina cova la ribellione da almeno un mese una ribellione per chiedere più libertà.

I protagonisti di questo movimento sono gli studenti dei campus universitari, una composizione sociale che ricorda TienanMen, ma che sembra essere più simile a ciò che successe a Hong Kong nel 2020 e che sta cominciando a coinvolgere altri strati sociali. Non a caso il simbolo della protesta è diventato un foglio bianco innalzato dai manifestanti. Lo stesso usato per protestare contro le nuove leggi draconiane sulla sicurezza nazionale della città stato volute proprio dal governo cinese. Il gesto non è solo una manifestazione contro la repressione del dissenso, ma anche una sfida aperta alle autorità, una provocazione che potrebbe essere sintetizzata: come si puo arrestare chi ha tenuto un cartello che non dice nulla?.

Vista la censura su ciò che sta succedendo con l'oscuramento delle notizie reperibili in rete riguardo le maggiori citta, a parlare sono gli organismi per la difesa dei diritti umani, per Hana Young, vicedirettore regionale di Amnesty International: «Le persone sono state incredibilmente pazienti con le misure di blocco, ma le autorità non devono abusare delle politiche di emergenza. Queste proteste senza precedenti mostrano che le persone sono alla fine della loro tolleranza per le eccessive restrizioni Covid- 19. Il governo cinese deve rivedere immediatamente le sue politiche per garantire che siano proporzionate e limitate nel tempo. Tutte le misure di quarantena che rappresentano una minaccia per la sicurezza personale e limitano inutilmente la libertà di movimento devono essere sospese».

La repressione ora è dunque tutta sul partito comunista anche se si ritiene che il numero dei manifestanti non sia tale da mettere in crisi il potere granitico di Xi, quest'ultimo poi gode dell'appoggio incondizionato dell'esercito e la sua reazione potrebbe essere sanguinosa. La Cina dunque rimane al momento fedele alla politica zero-Covid anche se gran parte del mondo ha revocato le maggiori restrizioni legate alla pandemia, e l'emergere di varianti più trasmissibili ha attenuato l'efficacia delle misure per debellare il virus. Sebbene bassi rispetto agli standard globali, i numeri dei casi in Cina hanno raggiunto livelli record per giorni, oltre 40mila nuovi contagiati segnalati dalle autorità nel loro aggiornamento di ieri. Pechino ha difeso la sua politica come salvavita necessaria per evitare il collasso del sistema sanitario, anche se ha modificato il suo approccio dopo che un prolungato blocco a Shanghai all'inizio di quest'anno aveva già alimentato rabbia e frustrazione tra i 25 milioni di residenti della città.