Gaetano Pecorella è candidato come componente laico del Consiglio superiore della magistratura. L’elezione dei dieci consiglieri non togati è prevista il prossimo 13 dicembre, con il voto del Parlamento in seduta comune. L’avvocato Pecorella, past president dell’Unione Camere penali e già al vertice della commissione Giustizia di Montecitorio, ha un’idea precisa dei “requisiti” che sarebbe necessario assicurare al nuovo Csm, il cui insediamento è atteso per la fine dell’anno. «Occorre aprire – dice al Dubbio – una nuova fase, partendo da una componente laica, non politicamente schierata, in grado di incidere sul sistema correntizio che ha sempre dominato il Consiglio superiore. In questo modo l’organo di autogoverno gioverebbe di più alla stessa magistratura e al rispetto dei diritti dei cittadini».

Presidente Pecorella, una parte della stampa già si è scatenata, esprimendo forti perplessità e critiche, quando ha letto il suo nome tra i candidati laici. Come si spiega una reazione del genere?

Probabilmente la mia candidatura al Csm non fa piacere ad alcuni settori della magistratura, dato che io per tutto il tempo della mia professione ho cercato sempre di sostenere i diritti della difesa e i valori legati al garantismo. Mi pare abbastanza ovvio che una parte della stampa, che da sempre esprime le posizioni di certa magistratura, trovi la mia candidatura scomoda. Proprio per questo ho avanzato la mia candidatura. Credo che il Csm debba essere il giudice dei giudici e debba avere una posizione tale da garantire il funzionamento della giustizia secondo i principi costituzionali e secondo la tutela dei diritti che hanno tutti i cittadini.

Il Csm nell’ultimo biennio ha subito critiche ed è stato delegittimato. Quale contributo intende dare nel caso di una sua elezione a palazzo dei Marescialli?

Io parto da questa considerazione: è molto importante un elemento introdotto dalla riforma del Csm. Mi riferisco al fatto che la scelta dei componenti laici debba essere ispirata alla trasparenza. Questo mi è sembrato il primo passo per depoliticizzare il Csm. Prima, la scelta dei componenti laici avveniva in base a dei patti politici e secondo gli schieramenti politici e non, invece, sulla base dei valori personali, dell’esperienza e della cultura giuridica del candidato. La trasparenza adesso la si deve intendere non più come una divisione per appartenenza di partito, ma come un elemento in grado di prendere in considerazione il valore personale dei candidati. È un primo passo verso la depoliticizzazione del Csm. Il passo successivo dovrebbe essere quello di evitare che anche i magistrati esprimano delle correnti, e che non ci sia un accordo tra parti politiche e parti della magistratura, a discapito dei meriti personali. Bisogna fare in modo che la presenza di una componente laica, che non sia espressione dei partiti, influisca anche sulla rottura del sistema delle correnti, comprese quelle politiche. Nel Csm dovrebbero esserci non delle maggioranze e delle minoranze, ma solo delle scelte sagge sia per quanto riguarda le nomine sia per quanto riguarda l’aspetto disciplinare, in base alla capacità tecnica di chi giudica. Non tralascerei neppure un altro aspetto.

A cosa si riferisce?

Le denunce disciplinari che gli avvocati fanno alcune volte sono assolutamente infondate, ma altre volte, invece, vengono trascurate e non hanno seguito. Il tentativo è quello di avere un Csm al di sopra delle parti, al di sopra della politica, al di sopra degli interessi di gruppi di magistrati. Il Csm deve essere davvero un giudice terzo ed imparziale.

Con l’impostazione che lei suggerisce, il Csm potrebbe realizzare la svolta invocata innanzitutto dal presidente Mattarella?

Se queste idee, a prescindere dalla scelta che potrà fare il Parlamento sulla mia persona, permeassero il lavoro del Csm, assicurerebbero un valore maggiore e più pregnante per il cittadino, che vede nel Consiglio un elemento di garanzia. Il famoso giudice a Berlino che tante volte abbiamo cercato. La magistratura italiana, nel suo complesso, è assolutamente rispettabile e lavora con serietà. Ci sono, però, anche delle mele marce, come del resto dappertutto. Se il cittadino sapesse che il Csm non è più dominato dalla destra piuttosto che dalla sinistra, ma è dominato da teste pensanti, da persone che hanno l’esperienza di anni e anni di professione o insegnamento, sarebbe molto più tranquillo. Il Csm deve essere il luogo in cui si fa giustizia nei confronti di chi sbaglia e di chi non fa bene il proprio lavoro. In questo modo può essere un organo che nella scelta dei capi degli uffici dà la garanzia di scelte rapide e di qualità. La magistratura ha avuto momenti di grande crisi, si pensi alla vicenda Palamara, e ora occorre aprire una nuova fase.

Come valuta i primi passi del nuovo ministro della Giustizia Carlo Nordio?

Il ministro Nordio ha iniziato a lavorare bene. Il rinvio dell’entrata in vigore della riforma Cartabia era necessario anche per lo studio che tutti noi dobbiamo fare delle nuove norme. L’impegno del ministro e del governo, a mio avviso, dovrebbe essere quello di coprire i posti vacanti e di spostare i magistrati sparpagliati, soprattutto nei ministeri, per colmare i vuoti di organico. Spero che il ministro prenda pure a cuore il tema dell’edilizia giudiziaria.

Il nuovo Csm non potrà non tener conto della condizione delle carceri e dei detenuti, considerato il crescente, drammatico numero dei suicidi. Cosa ne pensa?

Governo e Parlamento devono intervenire sulle carceri. Il Csm sicuramente può lanciare un grido di dolore sulla situazione barbara alla quale stiamo assistendo, e può essere molto attento nel verificare se i magistrati addetti al mondo carcerario agiscono nel modo migliore. La cronaca ci consegna ogni giorno notizie preoccupanti. Il Csm può incidere, rappresentando ai magistrati che hanno compiti di tutela sui detenuti, di essere più attenti. In questo contesto è lodevole la raccolta firme lanciata dalla vostra testata per fermare la strage dei suicidi in carcere. Apprezzo molto questa iniziativa alla quale ho aderito. Quella dei suicidi in carcere è una vera e propria vergogna nazionale. I detenuti vanno arricchiti in carcere culturalmente e da un punto di vista lavorativo per potersi davvero inserire, una volta liberi, nella società.