Anche la Camera penale di Roma si unisce alle critiche sorte intorno all'iniziativa del Tribunale di Livorno, che con il patrocinio della Camera Civile di Livorno e del Comitato Pari Opportunità del Consiglio dell’Ordine locale, ha organizzato presso il Palazzo di Giustizia una «singolare» mostra dal titolo “Padroni-Il dis/valore delle donne”, nell'ambito della quale sono state esposte nell'atrio del palazzo i volti di dieci uomini condannati per femminicidio, con tanto di indicazione dei nomi, del luogo e del tempo di commissione del delitto, e dell’arma utilizzata per compierlo. Un'iniziativa che secondo il leader dei penalisti Gian Domenico Caiazza, come ricordano i penalisti, non può che ritenersi “raccapricciante, mostruosa, grave e vergognosa”. E in merito alla quale ha già preso posizione la Camera Penale di Livorno, a cui ora si uniscono i penalisti romani con una nota diffusa dal direttivo. «Ferma restando la preoccupazione che taluni fenomeni criminali destano e che difatti il legislatore ha affrontato con significativi interventi tesi ad inasprirne il trattamento sanzionatorio prevedendo anche misure di contenimento cautelare atte a scongiurarne la realizzazione - scrivono i penalisti di Roma -, continuiamo a ritenere che un condannato, anche se resosi responsabile del più nefando delitto, mantenga quantomeno l’elementare diritto di espiare la pena senza divenire emblematico “simbolo” della propria devianza».

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«Perché ad una pena - prosegue la nota - che dovrebbe sempre essere ispirata alla rieducazione del reo, non se ne aggiunga altra. Perché i processi vanno celebrati soltanto nelle aule di giustizia. Perché esiste l’emenda e la resipiscenza. Perché la pena scontata può anche rappresentare occasione di oblio. Perché desideriamo soprattutto che in un paese civile scenari da medioevo non abbiano a ripetersi. Esisteva, ricordiamo a noi stessi, la gogna pubblica, spesso i condannati venivano esibiti in piazza, prima dileggiati e quindi esposti, qualunque ne fosse stata la sorte, quale monito e a fini di prevenzione». E concludono: «Crediamo fermamente che tali iniziative, che critichiamo anche noi con fermezza, non appartengano ai valori che dovrebbero ispirare sia l’esercizio della giurisdizione, sia l’espiazione della pena, sia e soprattutto un’adeguata informazione. Perché si traducono, all’evidenza, in un’inammissibile violazione dei principi sanciti dalla Carta Costituzionale e in un altrettanto inaccettabile ritorno ad un passato privo di garanzie».