Un avvocato, il 25 ottobre scorso, va al carcere di Cosenza per assistere un detenuto in videoconferenza. Ma trova una spiacevole sorpresa. Il suo assistito non c’è, perché tradotto in un altro carcere - quello di Catanzaro che dista un’ora e mezza di macchina -, per video collegarsi con il tribunale di Lamezia Terme. L’avvocato non era stato preavvisato di tale spostamento, e questo nonostante abbia constatato che al carcere di Cosenza ci sono sale predisposte per le videoconferenze.

A quel punto, a causa della distanza, non ha potuto fare in tempo ad assistere l’imputato. La camera penale di Cosenza ha denunciato il fatto direttamente al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) per il mancato preavviso, e per conoscenza ha reso noto lo spiacevole episodio anche al garante nazionale delle persone private della libertà. Secondo i penalisti, i fatti attribuiti all’Amministrazione penitenziaria avrebbero intaccato il corretto e concreto esercizio del diritto di difesa dell’imputato detenuto nella Casa circondariale di Cosenza.

Ripercorriamo i fatti denunciati. L’avvocato assiste una persona detenuta al carcere cosentino, imputata in un processo in corso di trattazione, nella fase dell’istruttoria dibattimentale, dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme, la cui udienza era fissata lo scorso 25 ottobre. Si è appunto recato in carcere entro l’orario di udienza per partecipare, da remoto, dunque di fianco al proprio assistito, alla prevista attività dibattimentale (l’escussione dei testi della Pubblica accusa) ma non ha potuto esercitare il patrocinio poiché, soltanto in tale sede, dunque la mattina dell’udienza e dopo aver fatto accesso nella struttura carceraria, ha appreso - senza alcun previo avviso da parte dell’amministrazione penitenziaria- la circostanza della traduzione dell’imputato ad altra Casa circondariale, precisamente Catanzaro- Siano.

L’avvocato ha osservato di aver constatato, nello stesso contesto, la disponibilità, all’interno del carcere di Cosenza, della sale predisposte per le videoconferenze. Quindi denuncia di aver subìto, dall’omessa comunicazione della traduzione del proprio assistito, un grave nocumento difensivo, conseguente sia all’impossibilità di prestare personale assistenza al proprio patrocinato, sia, in alternativa, di presenziare all’udienza dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme - stante la distanza chilometrica tra i Comuni di Cosenza e Lamezia Terme - per esercitare correttamente e concretamente il diritto di difesa in favore dell’imputato.

Sempre nella lettera della camera penale di Cosenza inviata al Dap, si racconta che l’avvocato è dovuto correre ai ripari rivolgendo al Tribunale di Lamezia Terme, ai fini di una tutela defensionale in extremis, l’allegata istanza “di poter procedere al controesame dei testi odierni alla prossima udienza” e, conseguentemente, trasmessa dallo stesso Giudice “al DAP per quanto di competenza”. Secondo la camera penale di Cosenza, il fatto, per come rappresentato, «è grave poiché ha determinato rilevante danno processuale nei riguardi della persona detenuta, al cui difensore - a causa dell’omessa comunicazione, da parte dell’Amministrazione penitenziaria, del trasferimento dello stesso detenuto ad altra Casa circondariale - non è stata consentita, concretamente, la personale assistenza del patrocinato, né personalmente e neppure presso la Sede giudiziaria, il Tribunale di Lamezia Terme».

Non solo. In tale modo l’imputato si sarebbe ritrovato privato dell’assistenza difensiva per ragioni indipendenti dalla volontà del patrocinatore, «concretizzatasi nell’impossibilità – denunciano i penalisti -, da parte dell’Avvocato, di contro esaminare i testi dell’Accusa, così determinandosi una concreta lesione al corretto esercizio del diritto di difesa».

Sempre secondo la camera penale di Cosenza, l’accaduto, nei termini palesati dall’avvocato, «è reso ancor più deprecabile dall’assenza del doveroso rispetto imposto dalla legge alle Istituzioni - in questo caso all’Amministrazione penitenziaria - verso la funzione costituzionale della Toga: è inaccettabile che al titolare del patrocinio difensivo, avente diritto ad assistere l’imputato nel luogo di restrizione durante l’attività dibattimentale che lo riguarda, non ne sia comunicata, tempestivamente, la traduzione, indipendentemente dalle nullità processuali che tale comportamento può determinare». Per questo i penalisti chiedono al capo del Dap un intervento volto a evitare la reiterazione di simili fatti.