L’ Iran ha vissuto una notte di violenza con manifestazioni e due attacchi armati che hanno causato almeno 12 morti, mentre le proteste per la morte di Masha Amini, la 22enne uccisa dalla polizia morale dopo l’arresto, sono entrate nel terzo mese. Cinque persone sono state condannate a morte per la loro partecipazione alle manifestazioni. Le proteste, iniziate dopo la morte della giovane, avvenuta il 16 settembre, si sono intensificate negli ultimi giorni in occasione della commemorazione delle mobilitazioni del 2019, in cui morirono 300 persone. «Donna, vita, libertà», lo slogan risuonato ieri sera in molte città del Paese, a Teheran, Gorgan, Sanandaj o Isfahan, dove i manifestanti hanno danzato intorno ai falò. A Izeh, nell’ovest dell’ Iran, uomini in moto hanno aperto il fuoco di fronte a un centro commerciale uccidendo sette persone, tra cui una donna e due bambini. Tra le vittime Kian Pirfalak, bimbo di dieci anni colpito a morte mentre si trovava in auto con il padre. Secondo le autorità, si è trattato di un attacco da parte di un «gruppo terrorista» ma la famiglia di Pirfalak ha puntato il dito contro le forze di sicurezza iraniane che stanno reprimendo con violenza le proteste. Kian «stava tornando a casa con suo padre ed è stato colpito da proiettili (sparati) dal regime corrotto della Repubblica islamica. La macchina è stata attaccata da tutti e quattro i lati», ha riferito un familiare in un audio trasmesso da Radi oFarda, un’emittente finanziata dagli Usa che si trova a Praga. Su Twitter gli utenti rilanciano un video in cui il bimbo mostra una barchetta di legno che ha costruito per partecipare a un festival dell’innovazione, sottolineando che voleva fare l’inventore.

La denuncia delle Ong: 326 vittime dall'inizio delle proteste, migliaia gli arresti. 

Almeno 326 persone, tra cui 43 minorenni, sono state uccise nella repressione della polizia, secondo l’Ong Iran HumanRights, con sede a Oslo. Inoltre, finora cinque persone sono state condannate a morte per la loro partecipazione alle manifestazioni, mentre circa 2.000 sono state accusate di vari reati legati alle proteste. Secondo la ong, la consistenza reale delle vittime è «certamente maggiore», perché il flusso informativo trapelato dal Paese deve tenere conto dei filtri della sicurezza e del parziale oscuramento di internet. La maggioranza dei morti, censiti in 22 province iraniane, si stima in quelle del Sistan, Baluchistan, Teheran, Mazandaran, Gilan e Kurdistan. «Considerando che gli attuali dirigenti politici e giudiziari vantano una storia di crimini contro l’umanità nella decade dal 1980, la reiterazione di quei crimini è possibile» nota l’Ihrngo, nata nel 2005 e registrata dal 2009 in Norvegia, con membri in Iran e all’estero tra cui Stati Uniti, Canada, Giappone e diversi Paesi europei.