Come gestire l’accoglienza dei migranti scongiurando nuove crisi diplomatiche? Semplice, ripristinando il “modello Lucano”. O almeno questa sembra essere la soluzione suggerita dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che parlando dalla sua Avellino ha spiegato domenica scorsa: «Vogliamo creare meccanismi per invertire lo spopolamento nelle aree interne, abbiamo interesse con il governo di presentare all'Europa un piano per creare dei flussi di ingresso gestiti dai singoli Stati». Non solo: «Abbiamo l'ambizione che l'arrivo dei cittadini stranieri - che sono bene accetti e ci servono - avvenga con meccanismi che siano governati dagli Stati e non dai trafficanti». Dunque, l’accoglienza non solo è possibile ma può favorire lo sviluppo delle aree spopolate del Paese. Proprio come avveniva a Riace, prima che l’esperienza Lucano venisse smantellata. E come avveniva in una miriade di piccoli Comuni italiani, tecnicamente definiti aree interne, che attraverso l’adesione alla rete Sprar (Servizio di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) riuscivano a centrare un triplice obiettivo: evitare di trasformare persone in clandestini, integrare i migranti all’interno delle comunità (grazie alla formazione) e limitare l’emigrazione di giovani cervelli italiani “autoctoni” , impiegati nei progetti d’accoglienza. Così, medici, psicologi, insegnanti, mediatori culturali di Sant’Alessio in Aspromonte (350 anime d’estate) - giusto per fare un esempio - potevano rimanere nel loro paesino, insieme ai “nuovi cittadini”, creando microeconomie virtuose e modelli d’integrazione incoraggianti. Peccato che a smontare gli Sprar (in parte ripristinati con interventi legislativi successivi) sia stato proprio Matteo Piantedosi, autore, insieme a Matteo Salvini, di quel decreto Sicurezza dichiarato in parte incostituzionale dalla Consulta. Ci voleva forse una figuraccia internazionale per far cambiare idea al ministro.