L’avvocato Fabrizio Merluzzi è lo sfidante di Gaetano Scalise per la presidenza della Camera Penale di Roma. Si vota da mercoledì 16 a venerdì 18 novembre.

Avvocato si vota solo in presenza e non più anche online, come chiedeva il suo gruppo.

Finalmente il direttivo ha preso atto della volontà della stragrande maggioranza dei soci. Il voto in presenza qualifica ancora di più una Camera penale come luogo di confronto che appartiene a tutti.

Per cosa si caratterizza il suo programma rispetto a quello dell’altra lista?

A noi innanzitutto non piace esprimerci per slogan, a differenza di quello che leggiamo nei post dei nostri contendenti. La differenza di fondo rispetto alla vecchia compagine, di cui Scalise è espressione, è che noi siamo inclusivi, abbiamo creato un mondo all’interno del quale sono confluiti tanti soci che spontaneamente hanno proposto la riforma dello Statuto. Purtroppo abbiamo perso per soli due voti. Ma continueremo la nostra battaglia per un sistema elettivo proporzionale e con il voto disgiunto. La Camera penale ha bisogno di recuperare un'unità di intenti. Noi vogliamo che il luogo del dibattito sia l’assemblea e non il direttivo. Proprio per questo la nostra è una lista molto variegata: abbiamo giovani, meno giovani, persone intellettualmente votate ad una battaglia in trincea e altri che sono più riflessivi, non è un caso che il nostro logo abbia l’arcobaleno: nessun riferimento politico, semplicemente siamo più anime che trovano una sintesi nel nostro progetto.

La sua lista è “Penalisti uniti per cambiare”. Cambiare cosa rispetto alla dirigenza uscente?

La Camera Penale di Roma si è trasformata in blocchi di iscritti precostituiti rispetto ai programmi e alle scelte dei singoli candidati con una ostentata visione elitaria dell’associazione, sempre più volta alla ricerca di consensi ed alleanze estranei al perseguimento degli scopi statutari. Ciò ha avuto anche delle ripercussioni sull’attività politica della Camera penale. Essa ha perso prestigio. Basti ricordare il fatto che il Tribunale di Roma non ha sentito il dovere di interpellare l’avvocatura per cercare soluzioni condivise prima di emettere una circolare con cui ha sospeso per sei mesi l’assegnazione dei processi al collegio. E ha perso così anche autorevolezza perché non è stata capace di aggregare un numero tale di avvocati da rappresentare uno scoglio insuperabile per chi all’interno della magistratura intende gestire la giurisdizione incurante delle prerogative dei difensori.  Insomma, quella uscente è stata una Camera penale troppo tiepida.

Come affrontare le emergenze sul fronte processuale?

Massimo dialogo ma massima determinazione. E se sarà necessario anche una risposta molto dura a tutela dei diritti.  Abbiamo derive giustizialiste che si profilano all’orizzonte, basti guardare i primi atti del Governo. La Camera penale deve essere molto attenta affinché le prerogative delle difese e il rispetto delle regole non vengano stravolte.

E quali quelle sul fronte dell'esecuzione penale? A Roma avete il grosso problema del Tribunale di Sorveglianza. 

Anche lì non possiamo più rimanere tiepidi, cercando il colloquio e soluzioni che poi si rivelano inesistenti. A Roma il tema dell’esecuzione penale si trascina da ormai troppi anni, senza che nessuno faccia qualcosa.  Questo presuppone da parte dell’avvocatura una reazione forte. Non sono più tollerabili 75 suicidi tra i detenuti. E questi in parte sono legati anche ad una magistratura di sorveglianza poco attenta ai principi che devono regnare in carcere: rieducazione e garanzia per un recluso di non trovarsi in un ambiente degradato.

Lei aveva invitato il suo sfidante, l’avvocato Scalise, ad un confronto pubblico in diretta proprio sui nostri canali social. Ma ha rifiutato. Secondo lei perché?

Non so se anche in questo caso tradisce una visione elitaria. Forse crede che lui e la sua lista siano talmente forti e consolidati da non aver bisogno di confrontarsi con i contendenti. Questo mi è molto dispiaciuto.