Un estratto del libro di Didier Fassin “Punire, una passione contemporanea” - Feltrinelli 2018

«La Francia attraversa il periodo più repressivo della sua storia recente, in tempo di pace. Fatta eccezione per gli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, non sono mai stati incarcerati così tanti uomini e donne.

In poco più di sessant’anni, la demografia carceraria si è moltiplicata di tre volte e mezzo. Nel 1955 si contavano 20.000 detenuti, 43.000 nel 1985 e 66.000 nel 2015. Nel 2016 si è battuto un nuovo record, con quasi 70.000 prigionieri.

L’aumento è ancora più marcato per quello che riguarda persone condannate ma seguite al di fuori delle carceri, quasi quadruplicate in trent’anni. Oggi si contano anche più di 250.000 persone che hanno a che fare con la giustizia.

Ma questo aumento non è dovuto, come si sarebbe tentati di credere, a un aumento della criminalità. Benché le statistiche in materia siano difficili da interpretare a causa delle numerose variazioni tanto nella definizione delle infrazioni quanto nella loro denuncia da parte delle vittime e nella loro registrazione da parte dell’amministrazione, e benché le tendenze non siano comunque omogenee per le diverse categorie di fatti implicati, gli elementi di cui disponiamo confermano, negli ultimi cinquant’anni, una diminuzione quasi costante delle forme più preoccupanti di criminalità, a partire dagli omicidi e, più in generale, delle tipologie più gravi di violenza.

Possiamo certo immaginare che gli eventi legati al terrorismo abbiano a che fare in maniera significativa con la trasformazione osservata. Ma, nei fatti, è una trasformazione iniziata negli anni settanta, quindi ben antecedente ai primi attentati; in più, essa riguarda soprattutto reati minori, che costituiscono la maggioranza dell’aumento delle condanne. Tutt’al più, le tragedie causate da questi attacchi hanno permesso di consolidare e legittimare un processo repressivo che era già di lunga data, facendo sì che risulti ancora più difficile metterlo in discussione, benché riguardi essenzialmente fatti di gravità minore. Come spiegare allora una simile impennata, visto che non è dovuta a un reale aumento della criminalità? Si coniugano due fenomeni che influenzano in profondità la società francese: un’accresciuta sensibilità per gli atti illegali e la devianza, e una focalizzazione del discorso e dell’azione pubblica sulle questioni di sicurezza. Il primo fenomeno è culturale, il secondo è politico.

Da un lato, gli individui si dimostrano sempre meno tolleranti verso ciò che disturba le loro esistenze. Dagli atti incivili alle minacce, dalle aggressioni verbali ai litigi fra vicini fino agli alterchi nelle coppie, ormai tutta una serie di conflitti interpersonali che prima potevano trovare soluzioni empiriche locali passano per la polizia, spesso per la giustizia e a volte per la prigione. E questa tendenza riguarda anche le infrazioni senza vittime, come il consumo di stupefacenti, lo stazionamento agli ingressi dei condomini, l’oltraggio alla bandiera, il ricorso alla prostituzione o l’indossare certi simboli religiosi.

L’abbassamento della soglia di tolleranza di fronte a pratiche fino a poco tempo fa ignorate da parte della legge va di pari passo con una tendenza generale alla pacificazione degli spazi sociali, insieme a un aumento delle attese morali».