Lunedì si è tolto la vita un detenuto ventiduenne di origini domenicane al carcere di Udine. A darne la notizia è il garante locale Franco Corleone. Siamo giunti così a 74 suicidi dall’inizio dell’anno. Non 76, perché per errore di conteggio, è stato contemplato un suicidio che in realtà è avvenuto il 30 dicembre 2021, l’altro invece è stato un tentativo, ma è tuttora ricoverato in ospedale.

Sono numeri, aggiornati da Ristretti Orizzonti, che confermano il dramma. Il giovane detenuto ritrovato morto al carcere di Regina Coeli è invece il 76esimo decesso per “cause naturali”, mentre ancora risultano 24 detenuti morti per cause da accertare. Senza contare, come è stato sempre ribadito su queste pagine de Il Dubbio, che ci sono numerosi casi di tentato suicidio, sventati grazie alla prontezza degli agenti penitenziari. Ma non possono loro sopperire al disagio, alla mancanza di operatori sanitari, medici, psicologi e psichiatri. Così come, non posso essere i guardiani di un carcere diventato la discarica del disagio che la società non riesce più a farsene carico. Senza contare il sovraffollamento. Ma sembrerebbe che, per ora, la parola d’ordine del ministro della giustizia attuale sia “la certezza della pena”. Eppure, non c’entra nulla con il discorso carcerocentrico.

Ci viene in aiuto il libro "Fine pena ora" di Elvio Fassone. Ci spiega che in realtà ha un significato ben preciso e viene contemplato dall'articolo 25 della Costituzione. La "certezza della pena" consiste nel fatto che se un cittadino tiene una certa condotta, deve sapere se essa costituisca reato oppure no, e in caso positivo deve sapere quali siano le sanzioni previste. La pena è "certa" quando né il reato né la misura sono frutto dell'improvvisazione del potente di turno.