Il decreto Humanity 1 (dal nome della nave attraccata nel porto di Catania), firmato il 4 novembre dai ministri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture, sta spaccando l’opinione pubblica e ha aperto un dibattito tra i giuristi. Sono quattro gli elementi sui quali si basa il decreto Piantedosi- Crosetto- Salvini: il divieto, il luogo, le attività da svolgere e lo stato in cui versano le persone destinatarie di determinati interventi.

Alla nave Humanity 1, si legge nella parte dispositiva, «è fatto divieto di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti Autorità nazionali». Con l’aggiunta che «a tutte le persone che restano sull’imbarcazione sarà comunque assicurata l’assistenza occorrente per l’uscita dalle acque territoriali».

Il governo Meloni ha voluto, a pochi giorni dal suo insediamento, dare una connotazione al suo modus operandi in materia di immigrazione. Lo si evince dalla parte in cui si evidenzia che la Humanity 1 deve abbandonare le acque territoriali. Gli interventi a livello nazionale non possono non tenere conto di altre norme di carattere internazionale.

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, alla quale ha aderito l’Italia, fissa le regole sulle operazioni di salvataggio. Sull’obbligo di prestare soccorso il secondo comma dell’articolo 98 stabilisce che «ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali». Sull’ingresso dei migranti nell’Unione europea la Convenzione di Dublino, i Regolamenti Dublino I e Dublino II hanno come oggetto le richieste di diritto d’asilo.

«L’impegno del nostro Paese dice al Dubbio Giuseppe Paccione, esperto di Diritto internazionale - viene sancito da due importanti Convenzioni, quella sulla ricerca e soccorso in mare e quella relativa alla salvaguardia della vita in mare. Esse vincolano le nostre autorità sia di cooperare che di coordinarsi con il comandante, ad esempio, di una nave che ha prestato assistenza agli individui che si trovavano in pericolo di naufragare e perdere la vita in mare, come pure quello di provvedere a far sbarcare le persone tratte in salvo in un luogo sicuro cioè a dire in un’area territoriale in cui la loro sicurezza e la loro incolumità non sia minacciata».

Le navi delle Ong attraccate nei porti italiani e, quindi, nel mare territoriale indurranno lo Stato italiano a seguire un percorso ben definito. «In primis - aggiunge Paccione - precisiamo che l’ingresso di alcune imbarcazioni con a bordo i migranti è stato consentito dalle autorità italiane come atto dovuto, altrimenti il nostro paese sarebbe in corso nella violazione delle disposizioni interne, visto che, una volta fatto ingresso nel nostro territorio, scatta l’esercizio del potere giurisdizionale sul gruppo di persone a bordo, nel senso che, nel caso ipotetico, l’allontanamento dal nostro suolo debba essere fatto con provvedimenti per ogni singola persona. L’individuo, se vi sono alla base fondate ragioni, può essere espulso o accompagnato alla frontiera. Il respingimento riguarda la singola persona, che può reclamare il proprio diritto di ricorrere per le vie giurisdizionali nazionali e fare domanda d’asilo».

Il diritto non può essere avulso dalla realtà e richiede la conoscenza di altre materie. «Stiamo affrontando - afferma il professor Gerardo Villanacci, ordinario di Diritto privato nell’Università Politecnica delle Marche - un fenomeno composito, che si tenta di regolare con una disposizione anacronistica. Di fronte ai fatti di alcuni anni fa la regolamentazione è rimasta sempre la stessa. Non è stato creato, attraverso anche disposizioni legislative europee, quel profilo di solidarietà alla base della gestione e della regolamentazione del fenomeno migratorio».

La disperazione di chi fugge per raggiungere l’Europa non ha, secondo Villanacci, trovato i legislatori e i giuristi preparati su diversi fronti: «La questione migratoria va indagata a monte. L’impostazione tradizionale, che distingue tra migrazione volontaria e migrazione forzata, va superata, così come è superata la regolamentazione, compresa quella di Dublino, che non ha considerato più lo sviluppo esponenziale del fenomeno migratorio. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un diritto umanitario, che, però, non significa disattendere delle regole fondate sulla solidarietà. Il fenomeno migratorio, che è al tempo stesso sociale ed antropologico, verte su una legislazione che si muove sulla regolamentazione ma anche sulla promozione. La funzione promozionale della legge è prevalente».