di Oliviero Mazza*

Dopo che il nuovo Governo ha deciso l’opportuno rinvio dell’entrata in vigore della riforma Cartabia, gli stessi protagonisti della singolare stagione riformista hanno denunciato pubblicamente i presunti guasti di questa scelta, sulla base, sostanzialmente, di due argomenti non proprio irresistibili.

L’entrata in vigore immediata risulterebbe imposta dal Pnrr e, quindi, dall’Europa che sarebbe in fremente attesa del nostro nuovo processo penale e del più mite sistema sanzionatorio. Il differimento dell’entrata in vigore determinerebbe un pressoché automatico rinvio di tutte le udienze da parte dei giudici fino a quando, con il nuovo anno, si potranno applicare le nuove regole.

Nessuno dei due argomenti coglie nel segno. La questione del Pnrr è stata oggetto di un insistito e costante travisamento che rende necessario richiamare quanto già più volte si è avuto modo di dire, senza peraltro essere mai smentiti dai conditores, trattandosi di una ricostruzione fondata su “prove documentali”.

L’Europa ha elargito benevolmente finanziamenti a tutti i Paesi colpiti dalla pandemia attraverso un piano, il NextGenerationEU, che non prendeva in considerazione, come logico che fosse, il processo penale, dovendosi occupare principalmente di economia e di sanità. L’unico vago accenno rinvenibile nelle fonti europee, comunque non contenuto nel piano di recovery, era rivolto al law enforcement della pretesa punitiva per i reati che ledono interessi economici dell’Unione. Come dire, ben poca cosa, un puro interesse utilitaristico che poteva essere ampiamente soddisfatto da riforme mirate e circoscritte. Del resto, è difficile ipotizzare un legame diretto fra giustizia penale e sviluppo economico o sanitario del Paese.

Abbiamo scelto, in piena autonomia, di condizionare l’ottenimento dei fondi europei alla riforma della giustizia penale, senza alcuna imposizione in tal senso da parte dell’Unione Europea. Una scelta legittima, ma che poi è stata utilizzata per tacitare ogni forma di dissenso e per imporre un cronoprogramma da olimpiade del diritto.

Tempi stretti, urgenza, condizionalità europea, mancanza di spazio per aprire una seria discussione fra tutti gli stakeholders, hanno imposto l’ennesima riforma di mezza estate, caduta nel corso di una vuota campagna elettorale che ha del tutto ignorato il tema, in linea con la generale assenza di contenuti, portata a conclusione da un esecutivo dimissionario e da Camere sciolte, nel totale disinteresse dell’opinione pubblica. Una riforma efficiente solo nei tempi e nei modi della sua realizzazione, a dispetto di ogni regola costituzionale, a partire da una legge delega che, è bene non dimenticarlo, è stata fatta votare dal Governo sotto la minaccia di una doppia questione di fiducia, ossia senza alcuna discussione parlamentare.

Credo che sia più che giustificato tornare alle regole democratiche e dare al nuovo Parlamento la possibilità di rimediare almeno ai più vistosi errori contenuti nella riforma, anche per evitare che la sua entrata in vigore determini, paradossalmente, nuove inefficienze del sistema penale.

È molto sgradevole, infine, il continuo riferimento ai soldi europei, come se la giustizia penale e i diritti fondamentali dell’imputato fossero una merce da barattare col miglior offerente. Occorre uscire da questa logica mercantile e aprire un serio dibattito scientifico, politico e culturale su una riforma che si pone largamente al di fuori del perimetro della Costituzione, che contiene procedure labirintiche e oziose, foriere solo di nuove difficoltà per tutti gli operatori, che quindi può e deve essere ripensata in alcuni suoi snodi fondamentali, soprattutto, come detto, sul versante processuale.

Anche il secondo argomento non è persuasivo. La stampa ha riportato la notizia del rinvio di una sola udienza preliminare che vede imputato un magistrato milanese. Senza entrare nelle evidenti peculiarità del caso, non si può pensare che i giudici, soggetti per Costituzione soltanto alla legge vigente, possano disporre rinvii sulla base di mere aspettative in ordine all’entrata in vigore di una riforma che potrebbe, per assurdo, non entrare mai in vigore.

Quanto alle legittime speranze degli imputati legate alla diffusa premialità e alla marcata indulgenza del versante sostanziale della riforma, se e quando entrerà in vigore il nuovo diritto penale più favorevole non potrà che applicarsi retroattivamente. Anche i riti premiali, nell’ottica delle norme processuali ad effetti penali sostanziali, verranno recuperati proprio da quella disciplina transitoria che non è stata nemmeno presa in considerazione da un legislatore affrettato o, peggio, ignaro del problema. Non vi è quindi ragione per non prendersi almeno due mesi di tempo per emendare un testo largamente imperfetto e ideologicamente ispirato al ripudio della presunzione d’innocenza, alla fuga premiata dalla funzione cognitiva che è l’unico parametro su cui si può legittimamente misurare l’efficienza del giusto processo penale. (*Avvocato, Ordinario di Diritto processuale penale)