«Sulla giustizia il governo non è partito al meglio, è vero. Eppure sono molto fiducioso rispetto a quelli che potranno essere i suoi prossimi passi». Pierantonio Zanettin, senatore di Forza Italia e capogruppo azzurro in commissione Giustizia alla Camera nella scorsa legislatura, è stato fra i primi a evidenziare alcune «criticità» nell’azione del governo Meloni. Fino a presentare una delle prime interrogazioni al ministro della Giustizia, in cui ha chiesto «quali urgenti iniziative di propria competenza» l’esecutivo intenda assumere «per far fronte alla drammatica situazione del sistema carcerario italiano».

Quesito rivolto proprio mentre il rinvio al 30 dicembre dell’entrata in vigore della riforma Cartabia sembrerebbe aprire la strada, in fase di conversione del decreto su ergastolo e rave parti, a un ridimensionamento delle norme su pene alternative e giustizia riparativa previste dall’ex guardasigilli.

Senatore Zanettin, è perplesso sulle prime mosse dell’esecutivo in materia di giustizia?

Prima di tutto credo sia necessaria una riflessione. Ci troviamo per la prima volta con una coalizione di centrodestra sbilanciata più a destra che al centro. Con le ovvie conseguenze. Forza Italia sulla giustizia ha una storia molto diversa da quella di Fratelli d’Italia e della Lega.

E che margini di manovra potrà avere, il suo partito, in un quadro del genere?

Premesso che sosterremo convintamente il governo, sui temi della giustizia cercheremo di spingere per un maggiore garantismo. Come ho già avuto modo di dire, le sensibilità all’interno dell’esecutivo non sono le stesse ma, con il vicepremier Antonio Tajani e, alla Giustizia, il viceministro Francesco Paolo Sisto, credo si possa raggiungere un soddisfacente punto d’incontro.

In un’interrogazione al guardasigilli Nordio l’altro giorno ha ricordato il tragico dato dei suicidi in carcere. Ha scritto che su questo “impressionante aumento” ha inciso “una politica ispirata ad una convinzione carcerocentrica che ha finito per aggravare il fenomeno”. Ora questa linea restrittiva può rafforzarsi?

Guardi, sono anni che si innalzano le pene e che, soprattutto, che si creano nuovi reati. Praticamente viviamo in un panpenalismo spinto secondo cui qualsiasi emergenza deve essere risolta con il carcere. La pessima gestione di Alfonso Bonafede al ministero della Giustizia ha aggravato la situazione. I grillini avevano un approccio manettaro e forcaiolo che non ha nulla a che fare con lo Stato di diritto. Serve una inversione di rotta. Bisogna procedere con una seria ed efficace depenalizzazione.

Può farci qualche esempio?

L’equiparazione, introdotta con la spazzacorrotti, dei reati contro la pubblica amministrazione a quelli di mafia e terrorismo è stata un abominio giuridico. Oppure l’utilizzo indiscriminato del trojan, uno strumento per le intercettazioni quanto mai invasivo sul quale è necessaria, alla prima occasione, come ho chiesto più volte, una revisione normativa che limiti fortemente la possibilità di farvi ricorso.

Ieri il ministro Nordio ha visitato le carceri di Regina Coeli e Poggioreale, da sempre in condizioni drammatiche di sovraffollamento, e ha dichiarato che se ne esce con un investimento sull’edilizia penitenziaria. Condivide l’idea?

Io di principio non sono contrario alla costruzione di nuove carceri, quindi di strutture dignitose per i detenuti e per chi vi lavora all’interno, e mi riferisco innanzitutto al personale della polizia penitenziaria. Certamente, però, è fondamentale porre in essere anche degli strumenti in modo tale che la pena non sia solo afflittiva e da scontare in carcere ma serva, come dice la Costituzione, per l’effettiva riabilitazione del condannato al fine del suo reinserimento nella società.

Fra i primi atti del governo vi è stato il rinvio della riforma Cartabia sul processo penale. L’Anm ha accolto positivamente la decisione, i penalisti assai meno.

Anche su questo tema dobbiamo ricordare cosa era accaduto. Quando si insediò il governo Draghi, sui temi della giustizia tutto pareva essere rimasto come ai tempi del governo giallorosso, con relatori provenienti solo da Pd e M5S. Tanto per rinfrescare la memoria, per la riforma del Csm, relatori sono stati il dem Alfredo Bazoli e il pentastellato Eugenio Saitta. Sulla delega penale Franco Vazio, sempre del Pd, e Giulia Sarti, anche lei 5S. E pensi che per la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uso politico della giustizia erano stati nominati come relatori Stefano Ceccanti, Pd, e Federico Conte di Leu. E pure in questo scenario penso che i risultati ottenuti siano stati soddisfacenti. Quindi va bene il rinvio, ma vanno preservati i risultati raggiunti.

Che per voi sono comunque parziali, mentre per altri partiti della maggioranza, FdI innanzitutto, sono fin troppo spinti verso una linea garantista.

La riforma Cartabia è un compromesso, non serve girarci tanto in torno. Bisognava assicurare la tenuta dell’accordo di governo. Però ha raggiunto gli obiettivi storici del nostro patrimonio culturale piuttosto che quelli del giustizialismo grillino. Abbiano ottenuto la separazione delle funzioni, con un cambio, e non era facile. Sulle porte girevoli fra politica e magistratura era dal 2001 che presentavo progetti di riforma e ci siamo riusciti. Poi il voto degli avvocati nei Consigli giudiziari. E il fascicolo del magistrato per evitare quello che è successo alle toghe che condannarono Enzo Tortora, e che fecero una strabiliante progressione di carriera. L’Anm ha fatto sciopero contro questa riforma. L’ultimo lo aveva proclamato contro il governo Berlusconi.

Ed è realistico che il decreto penale resti immacolato nelle sue aperture garantiste, ora che il rinvio lo espone a correttivi?

Guardi, ribalterei il discorso: in quel testo, di errori sono stati commessi, nella fretta di chiudere per rispettare le scadenze del Pnrr qualche sbavatura ci può essere stata. Però penso che con il rinvio di due mesi si potranno aggiustare le cose che non vanno.

Su quali riforme della giustizia puntate, in questa legislatura?

FI farà sentire la propria voce. Spero solo che non ci siano più i testi blindati come durante il governo Draghi, con la discussione parlamentare di fatto sterilizzata.

Vi farete sentire anche sul decreto anti rave?

Certamente. Ci sono 60 giorni di tempo per la conversione. E abbiamo già detto che proporremo modifiche.