Nel 1960 il Msi si avvicina all’aerea di governo e convoca il suo congresso nazionale a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. La piazza s’infiamma. Gli scontri sono durissimi ma sarebbero cresciuti vorticosamente se il presidente del consiglio, Fernando Tambroni, che contava sull’appoggio esterno del partito neo fascista in Parlamento, non avesse dato le dimissioni.

E se il Msi non avesse rinunciato a celebrare il proprio congresso nazionale nel capoluogo ligure. Il tentativo di sdoganare il neo fascismo e di imprimere all’Italia una svolta a Destra staccandola dall’Europa democratica, si infranse contro il muro alzato dei ragazzi con le magliette a strisce anche a costo della loro vita.

Sono passati tanti anni ed è certamente un gran bene il fatto che non ci siano più scontri di piazza. Ma sarebbe interessante capire come mai oggi lo stesso Paese che nel 1960 pagò un così alto tributo di sangue e di galera per impedire un governo con l’appoggio esterno del Msi, assiste compiacente o indifferente (comunque non ostile) all’insediamento di un governo a guida di coloro che, in linea storica, sono gli eredi del Msi.

C’è da dire, e non è poco, che Fratelli d’Italia ha vinto le elezioni ma aggiungo che la Destra di Giorgia Meloni non mi sembra quella di Junio Valerio Borghese e di altri sopravvissuti della Repubblica Sociale, compromessi con l’occupazione nazista. Tuttavia nella storia della destra c’è una sostanziale continuità storica. Fiuggi, pur avendo registrato un’importante evoluzione democratica della Destra di derivazione missina, non è stata quello che poi si rivelò la “Bolognina” per la Sinistra comunista: il rifiuto tour court del proprio passato.

Quando la Meloni dice che chiuderà i porti fa la destra; quando afferma che costruirà nuove carceri ribadisce un concetto di destra; quando nega il diritto di cittadinanza ai ragazzi di colore nati in Italia compie una scelta di destra. Quando vota per aumentare le spese militari è in perfetta linea con la sua storia. Quando si appresta a votare la legge sull’autonomia differenziata è la destra portatrice di disuguaglianze. Il rifiuto di alcuni “diritti civili” è il riproporre d’una visione di destra della società. La Meloni che al momento solenne del suo insediamento ricorda la morte di Sergio Ramelli o i giovani “uccisi dall’antifascismo militante” rivendica la propria storia. Infine la posizione sull’ergastolo ostativo non ha bisogno di alcun commento. Insomma la Destra fa la destra! C’è da confrontarsi, secondo me, c’è da combattere democraticamente ma nulla di cui scandalizzarsi.

La “tragedia” si consuma sul versante “opposto dove della Sinistra non c’è traccia alcuna. Se potessimo sovrapporre i volti, gli sguardi, le parole dei parlamentari di centrosinistra (democristiani compresi) che nel 1960 chiesero ed ottennero le dimissioni del governo Tambroni con coloro che rappresentano oggi in Parlamento le forze di opposizione al governo Meloni, sarebbe facile verificare che la “Sinistra” è stata spinta dai suoi stessi dirigenti in un pauroso strapiombo da cui è venuta fuori snaturata e sfigurata. Prigioniera dai poteri adusi al comando proprio perché smemorata.

La Sinistra di governo è stata l’esaltazione delle disuguaglianze, un “partito d’ordine” appiattito su posizioni giustizialiste e forcaiole dei Pm, ha scoraggiato alla partecipazione democratica alla vita dello Stato e ha votato una legge elettorale truffa, ha sostituito la questione meridionale con la questione criminale, ha votato l’aumento delle spese militari, ha dimostrato un più che morboso attaccamento dei propri esponenti al potere, ha contribuito al sequestro della politica da parte delle élite.

L’ha potuto fare perché ha rimosso la propria storia sia da parte di Padre che di Madre. Per esempio: dopo il 1960, Umberto Terracini, già presidente dell’Assemblea Costituente, ha proposto un provvedimento di larga amnistia e indulto per il ventennale della Repubblica che passò con i voti della Sinistra riformista e cattolica. Non si trattava solo un atto di clemenza ma una visione della società che sapeva scavare nelle sue contraddizioni nel tentativo di trovare soluzioni guardando al domani. Oggi il Pd e il cosiddetto “campo largo” rifiuta con sdegno ogni ipotesi di amnistia perché è un partito senza visione, un partito giustizialista al punto da confondere la morbosa vicinanza ad alcuni magistrati con la Giustizia.

Non è per una tale sinistra che sono morti i ragazzi del luglio 60! Alfio Tondelli, Marino Franchi, Reverberi e Tognoli sono scesi in piazza in nome degli ideali di libertà, di democrazia partecipata, di uguaglianza per cui 15 anni prima erano morti i “vecchi partigiani” e questi si sentivano in perfetta continuità col Risorgimento democratico. Erano quasi tutti giovani sui venti anni, anzi Giuseppe Malleo di Palermo di anni ne aveva appena 15.

Chi oggi si siede in Parlamento sui banchi della Sinistra sente la responsabilità di essere erede di una tale storia tragica ma luminosa ed esaltante? Oppure pensano di poter continuare a scialacquare un patrimonio ideale, culturale e politico che si son trovati fra le mani? Comprendono costoro che senza una storia non ci può essere alcun futuro? Ne terrà conto il Pd nel momento in cui si appresta a celebrare il congresso? Certo, le idee si evolvono, i morti si seppelliscono, i sepolcri si chiudono ma bisogna evitare che i morti si rivoltino nelle loro tombe perché qualcuno sta rendendo inutile il loro drammatico sacrificio.