Alla fine i ragazzi hanno sbaraccato tutto pacificamente e chi sperava in un esito diverso, magari in ruvidi e telegenici scontri con limponente cordone di polizia che circondava il capannone alla periferia di Modena dove si sarebbe dovuto tenere il rave party della discordia, sarà rimasto con lamaro in bocca. Dopo ore di grande tensione la situazione si è infatti sbloccata ieri mattina: le trattative tra i funzionari delle forze dellordine e gli organizzatori del rave sono state più semplici del previsto e i partecipanti hanno accettato di abbandonare larea. Ha così prevalso la ragionevolezza, soprattutto da parte dei giovani e delle giovani che a migliaia erano arrivati nella città romagnola un po da tutta Europa e che la sera precedente si erano detti «pronti a resistere ad ogni costo». Il governo ha voluto fare la faccia dura e mostrare il manganello con una leggerezza che poteva produrre esiti ben più drammatici. Prima di abbandonare il capannone, quasi a dare una piccola lezione a chi gettava olio sul fuoco definendoli dei selvaggi drogati, i ragazzi hanno pulito tutto il capannone con acqua, sapone e centinaia di sacchi per limmondizia. Gli unici gesti ostili e provocatori sono stati rivolti nei confronti dei giornalisti che riprendevano levacuazione con le telecamere e le macchine fotografiche (macchiate con la vernice), probabilmente per non farsi identificare. Gli uomini della questura di Modena invece hanno identificato circa mille persone e oltre 150 veicoli in uscita dalla zona ma nessuno di loro è in stato di fermo e pare che non ci siano denunce penali. Insomma, tutto è bene quel che finisce bene. La sensazione, però, è che il governo Meloni per mano del ministro dellInterno, lex prefetto di Roma Matteo Piantedosi, abbia messo in scena una gigantesca operazione di propaganda, unesibizione muscolare tanto massiccia quanto gratuita sulla pelle dei ragazzi e delle ragazze accorsi a Modena. Il ciclopico schieramento di agenti messo in campo (circa 400) ricorda più quello di una vasta operazione anti terrorrismo o di una retata in grande stile di qualche boss mafioso in un territorio impervio, un dispositivo che appare davvero grottesco per contrastare un party danzante di tremila ventenni nella campagna modenese che non dovrebbe avere nessuna finalità né connotazione eversiva. Una propaganda securitaria che di certo non è estemporanea e che purtroppo sembra ispirare i primi atti dellesecutivo Meloni. Ieri infatti il consiglio dei ministri ha approvato una durissima stretta sui rave party illegali. Questi i principali provvedimenti presenti nel decreto legge che modifica larticolo 633 del codice penale: reclusione da tre a sei anni, multe da mille a 10mila euro e procedimento d'ufficio «se il fatto viene commesso da più di cinquanta persone allo scopo di organizzare un raduno dal quale possa derivare un pericolo per l'ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica». Disposta anche la confisca dei beni, ossia «di eventuali strumenti musicali o di diffusione di suoni o immagini necessari per lo svolgimento dell'intrattenimento nonché di impalcature necessarie per la realizzazione di palchi ove collocare i medesimi» si può leggere sul testo approvato dal cdm. Per stroncare il fenomeno alla radice il ministro Piantedosi ha annunciato persino il ricorso a strumenti investigativi speciali, come le intercettazioni telefoniche preventive ma anche alla sorveglianza informatica delle chat e dei canali social dei presunti organizzatori così da poter individuare in anticipo i luoghi prescelti per i temibili raduni. Metodi lontani dallo stato di diritto che hanno suscitato seri dubbi di costituzionalità quando si trattava di indagare su Cosa Nostra o sulle ramificazioni delle cellule dellIsis e che adesso vengono sbandierati senza minimo imbarazzo dal Viminale addirittura per reprimere le feste illegali dei ventenni. Il bersaglio è decisamente meno ambizioso della grande criminalità o del terrorismo, ma anche molto più facile da individuare e colpire.