Che lui salirà al Colle oggi, alla guida del suo partito, con i capigruppo del Senato, Licia Ronzulli e della Camera, Alessandro Cattaneo, i quarantenni con i quali intende dare anche il segno di rinnovamento della sua Forza Italia, Silvio Berlusconi lo rimarca quando dice che proprio per questo non è potuto andare a Bruxelles al vertice del Ppe.

Vertice nel quale sottolinea di «aver delegato il vicepresidente Antonio Tajani a rappresentare la posizione mia personale e di tutta Forza Italia che è di piena e totale adesione ai valori europeisti e atlantisti». Una frase con la quale il Cav fissa tre concetti: lui alle consultazioni andrà, contrariamente a indiscrezioni giornalistiche in cui è stato dipinto, dopo le sue frasi su Putin, come una sorta di pericolosa macchietta; che ci andrà alla guida di un partito sotto il suo comando, seppur attraversato da fibrillazioni, dove lui ha voluto in posti chiave del parlamento due volti di giovani di sua stretta fiducia; che Tajani, il vicepresidente di FI e del Ppe, resta sempre nei desiderata del Cav in pole agli Esteri.

Ma con quale spirito Berlusconi parteciperà alle consultazioni unitarie di tutto il centrodestra con Giorgia Meloni (FdI), la probabile futura premier incaricata, Matteo Salvini ( Lega) e Maurizio Lupi per “Noi Moderati”? Secondo Lupi, «avrebbe senso se parlasse solo Meloni». Ma comunque andrà, è un fatto che il leader azzurro si senta ferito nell’orgoglio per l’interpretazione «decontestualizzata» delle sue frasi rubate in due audio su Zelensky ieri e in particolare su Putin, l’altro ieri, con il quale «non rinnego l’amicizia» , ma, come dice al Corriere della sera, «non c’è alcuna assoluzione per l’invasione russa dell’Ucraina». Rimarca l’ex quattro volte premier: «Le mie posizioni sono sempre state e restano europee, atlantiche, in linea con quelle del governo italiano».

Il Cav in una nota l’altra sera a tarda ora ha anche rivendicato il suo curriculum atlantista, con la visita al Congresso Usa dove fu accolto dagli applausi. Non ha ricordato che da premier per la prima volta nel 1994 tra le visite iniziali fece quella al cimitero militare Usa di Nettuno, visita che era fino ad allora caduta un po’ in disuso. È stata la prima risposta dell’orgoglio del Cav a Meloni che in una nota secca e inequivocabile, senza menzionare il leader azzurro, aveva avvertito che il suo governo dovrà essere con tutti i ministri schierati una posizioni chiaramente atlantiste, «anche a costo di non farlo».

Meloni procede dritta e spedita per la sua strada verso l’incarico. Ma Berlusconi anche ieri in un tweet ha ricordato che nel futuro governo FI intende contare per la sua storia e il suo ruolo: «Il centrodestra è fatto di tre forze politiche, ognuna delle quali è numericamente e politicamente essenziale alla guida del futuro governo». Parole dalle quali si deduce che fino alla fine, prima di salire al Colle, sarà trattativa in particolare sulla Giustizia, tema sensibile per la natura liberale e garantista di FI, da prima che si scatenasse l’offensiva giudiziaria nei confronti del suo presidente e fondatore. Se non andrà Elisabetta Alberti Casellati, come vorrebbe Berlusconi o Francesco Paolo Sisto in alternativa, per la ex presidente del Senato si parla di Riforme. Ma FdI il partito guida della coalizione sembra fermo sul nome di Carlo Nordio. Un ministro azzurro, per compensazione potrebbe andare allo Sviluppo Economico? Il nome del cofondatore di FdI Guido Crosetto, che era dato in pole, fino a ieri sera risultava ballerino.

Il Mise altro dicastero nei desiderata di FI, poiché ci sono anche le Telecomunicazioni e difendere le aziende del Cav significa, al di là delle interpretazioni ad personam difendere migliaia di posti di lavoro, un patrimonio nazionale consolidato da sempre. Dallo snodo di questi tre dicasteri dipende molto la soluzione dell’intero risiko della squadra di governo. A sera c’era chi sosteneva che Tajani potrebbe andare anche alla Difesa. Ma la sua posizione sembra sempre più forte agli Esteri. Mentre per la Lega resta fisso Giancarlo Giorgetti al Mef. E comunque il Cav ha messo sul piatto la richiesta di un numero di ministeri che assicuri «pari dignità con la Lega a parità di consensi elettorali».

Ovvio che le chiavi del comando ora le ha Meloni. Lei deciderà la squadra, sulla quale comunque la decisione finale è sempre del Capo dello Stato. Giorgio Mulè, neoeletto vicepresidente della Camera, molto vicino a Berlusconi, consiglia però alla presidente di FdI di «essere meno rigida», pur condividendone lo spirito pragmatico dettato dalla necessità di far presto perché le emergenze del Paese attendono con urgenza.