«Il centrodestra si presenterà al Colle con una delegazione unitaria, almeno è quello che risulta finora». Così assicura nel tardo pomeriggio di ieri Fabio Rampelli, cofondatore di FdI, vicepresidente della Camera. E questo lo pensa anche il capogruppo del partito di Via della Scrofa, Francesco Lollobrigida. Si dovrebbe restare, dunque, all’annuncio dato da FdI e da FI dopo il vertice di lunedì scorso.

La probabile premier, Giorgia Meloni, secondo rumors punterebbe sempre a tempi rapidi per il nuovo esecutivo. Certo è che in pochi giorni si è passati sull’ottovolante di un nuovo freddo tra Silvio Berlusconi e Meloni, scatenato anche da una serie di audio usciti dall’assemblea dei deputati di FI con dichiarazioni del Cav sui suoi presunti nuovi contatti con Putin e considerazioni su Zelensky non gradite a FdI che fa del suo atlantismo un biglietto da visita per i rapporti con gli Usa. Ma è soprattutto il nodo Giustizia nella formazione della squadra di governo a continuare ad agitare le acque. E a far avvolgere tutto da un alone di incertezza fino alla fine. Una suspense di nome Cav, il quale, anche se ieri ha incontrato Carlo Nordio, il candidato di FdI, non molla la presa su Elisabetta Alberti Casellati. La stessa ex presidente del Senato sottolinea che seguirà le indicazioni del suo leader di partito, Berlusconi.

Il malumore del Cav e del partito azzurro è dovuto al fatto che la battaglia garantista di Forza Italia non è questione relativa a un nome e alle sorti processuali dello stesso Cav, tempestato da accanimento giudiziario, ora in attesa di sentenza per il Ruby ter. Il punto è che il garantismo è tema bandiera di FI, delle sue istanze liberali, tema identitario, non sentito con la stessa intensità nel percorso di FdI. E Berlusconi, al di là dei nomi e dei numeri dei ministeri, che chiede uguali a quelli della Lega, rivendicando «pari dignità di fronte a parità di voti», non vede riconosciuta al governo la centralità che rivendica per il suo partito che ha ha sempre definito «garante di europeismo, garantismo, atlantismo», al di là di quelle che sono le conversazioni con i suoi su Putin, che avrebbe voluto proprio condurre sulla via dell’Occidente, a cominciare dallo storico vertice con Bush junior di Pratica di Mare.

Berlusconi ha sempre detto, anche durante la campagna elettorale a tre punte, che senza FI non c’è più il centro. E ora reagisce, a modo suo, riprendendosi la scena come ha fatto anche in modo clamoroso, di fronte a quello che dentro FI viene vissuto come un tentativo di rottamazione da parte del partito nettamente vincitore, FdI, che però non è arrivato a quella soglia di oltre il 30 per cento cui aspirava.

Intanto, nella squadra di governo resterebbe sempre in pole per gli Esteri il nome di Antonio Tajani, coordinatore azzurro, con un curriculum incontestabile tutto nella Ue, dove è stato commissario e anche presidente del parlamento europeo, che però di fronte alla fuga di notizie sulle dichiarazioni del Cav a proposito di Putin potrebbe risultare scalfito nel racconto mediatico ostile alla nascita del governo di centrodestra. Ma a maggior ragione Meloni, il cui governo è particolarmente attenzionato dalle cancellerie europee, ora ha necessità di una figura come quella di Tajani, che ebbe un ruolo importante di mediazione anche nella ricucitura dei rapporti tra il Cav e Angela Merkel, e che seppur ora eletto deputato mantiene l’importante ruolo di vicepresidente del Ppe. Ieri Tajani ha preferito non commentare e ribadire che «le trattative le fa Berlusconi con Meloni e Matteo Salvini».

Il leader leghista ieri si è recato dal leader azzurro a Villa Grande per un’opera di mediazione nella coalizione. La Lega in una nota attacca «la sinistra e i suoi media che alimentano tensioni», ma assicura che nonostante questo «daremo vita all’esecutivo». E però a sera era ancora braccio di ferro tra Berlusconi e Meloni sul nodo Giustizia. Mentre problemi non ci dovrebbero essere per le altre caselle della squadra di governo, con Giancarlo Giorgetti, vicesegretario della Lega, dato sempre in pole per il Mef. Salvini dice: «Spero che il nuovo premier si chiami Meloni» e prevede che per mercoledì prossimo il governo ci sia. Non tutto quindi è stato ancora risolto. Resta il fattore Cav: ovvero la parola centro della coalizione. Anche se i centri più piccoli secondo osservatori maliziosi potrebbero fare da serbatoio di eventuali fuoriuscite da FI. Che però con Berlusconi e la sua storia è il centro vero, non sempre la matematica va di pari passo con la politica.