Può sembrare un’altalena irrazionale. Ma con Silvio Berlusconi le trattative non hanno mai il senso della dialettica prevedibile. Si va sempre per sussulti, mediatici innanzitutto. E così, dopo che ieri, nell’incontro a via della Scrofa, il Cavaliere aveva lasciato Giorgia Meloni con la ferma richiesta di vedere Maria Elisabetta Alberti Casellati alla Giustizia, ci sono volute quasi ventiquattr’ore prima che l’intesa diventasse mainstream. In realtà già ieri il Dubbio aveva anticipato che dall’incontro fra i due leader l’indicazione più netta come futura guardasigilli riguardava appunto la ex presidente del Senato. Ieri sera altre indiscrezioni avevano descritto un quadro diverso: sì, è vero Casellati è nella squadra di governo, ma non come titolare della Giustizia. Avrà un ruolo, ma alle Riforme. A via Arenula ci andrà Carlo Nordio. C’è stata la sfida tra “interpretazoni autentiche” dell’incontro: fonti meloniane contro berlusconiani. Finché il leader di Forza Italia poco fa ha dato l’annuncio che sembrerebbe definitivo: «Il ministero della Giustizia alla ex presidente del Senato Elisabetta Casellati. L’accordo è stato trovato assolutamente». Poco prima, lo stesso Cav aveva lasciato intendere che sul punto si era invece in piena divergenza, e di aver ricevuto da Meloni tutt’altro riscontro: «Incontrerò Nordio», aveva dichiarato inopinatamente «ma non credo mi convincerà». Frase che definire provocatoria è riduttivo. Perché tutto si può sostenere, ma non che Nordio sarebbe un guardasigilli “poco convincente”.

La Giustizia da Cenerentola a pietra filosofale

In attesa del “timbro ufficiale” sulla faccenda, e con Ignazio La Russa e altri che da FdI provano a raffreddare l’entusiasmo di Silvio, va chiarito un punto: perché la giustizia finisce per essere lo snodo più intricato della trattativa? Perché un dicastero di cui in campagna elettorale si è parlato quasi mai diventa magicamente lo showdown dei negoziati? C’è una risposta facile: perché la giustizia rappresenta un architrave identitario per Forza Italia. Il partito di Berlusconi è l’unico a vocazione schiettamente garantista, nell’alleanza di governo, e rivendica legittimamente un primato sulla giustizia. È una risposta efficace ma non sufficiente. Non spiega perché Meloni a propria volta abbia accelerato negli ultimi giorni sul nome di Nordio, dopo aver in fondo trascurato, nella fase pre-elettorale, i discorsi sulla scelta del guardasigilli. È qui l’analisi è più complicata. Ma non impossibile. Si deve fare un passo indietro di una settimana, a mercoledì scorso, quando sul Fatto quotidiano e su Repubblica affiorano, con sorprendente simultaneità, due retroscena in cui viene sì segnalata la richiesta berlusconiana di un guardasigilli azzurro, ma la si spiega con la brama del Cavaliere per una riforma ad personam. Svolgimento del teorema: a Silvio serve un ministro obbediente che gli apparecchi una rapida riforma/abrogazione della legge Severino, in modo da cancellare la decadenza dalle cariche rappresentative, inclusa quella di senatore appena riconquistata, di chiunque sia condannato in via definitiva per reati come la corruzione in atti giudiziari. Gli serve, detto in parole più brutali, uno scudo per difendersi dalla condanna, già data per certa, al Ruby ter. E si fanno subito, con scarso anzi nessun riguardo per gli interessati, i nomi di Casellati e Francesco Paolo Sisto. È il passaggio chiave, che trasforma l’atteggiamento di Meloni su Nordio da possibilista ad assertivo. La premier in pectore comprende che al di là delle effettive motivazioni del Cavaliere, un ministro della Giustizia targato FI suonerebbe come un handicap per l’immagine del governo. Fino a quel momento l’ipotesi di portare Nordio a via Arenula era stata “riscontrata” in modo sempre tiepido, da Meloni e dalle altre prime linee di FdI. Il top dell’endorsement? «Sarebbe un ottimo guardasigilli». Parole identiche a quelle che Matteo Salvini ha spesso dedicato a Giulia Bongiorno. Nulla di speciale, insomma. Dal giorno successivo al retroscena simulutaneo del Fatto e Repubblica, Nordio diventa improvvisamente, per i meloniani, un assioma. Un punto fermo del futuro esecutivo. Finché al vertice di Villa San Martino, Berlusconi muove le sue prime vere avances verso la poltrona di guardasigilli. E mette sul tavolo le carte di Casellati e Sisto. E subito arrivano le reazioni perplesse di via della Scrofa. Adesso cosa cambia? Basta la determinazione di Silvio per tranquillizzare Meloni? Il pressing ha magicamente diradato i timori di vedere il nascente governo impallinato come uno scudo ad personam acchitato per l’ex premier? Non è detta l’ultima parola. Ma quella decisiva può venire solo da Berlusconi: che deve convincere l’alleata di volere una guardasigilli azzurra perché intende davvero fare della giustizia la bandiera politica di Forza Italia. Sul punto si gioca uno slittamento positivo gigantesco, per il futuro politico del centrodestra. Da coalizione che alcuni danno ancora per assoggettata alle ansie giudiziarie personali del Cavaliere, a squadra in cui la giustizia e il garantismo vengono rivendicati con convinzione, e senza ombre personalistiche, dal partito più titolato a rivendicarle. È uno scarto enorme. Che può segnare in meglio l’identità politica dell’intera alleanza. Tutto sta a capire se Meloni, in questa scommessa, intende mettersi in gioco davvero.