Siamo in Puglia. Una regione di avvocati, dalla grande tradizione. E prima che Maria Masi prenda la parola, è il presidente dell’Unione delle Curie della Puglia, Stefano Pio Foglia, a ringraziare «le istituzioni e le rappresentanze forensi: grazie al Cnf, all’Ocf, alla Cassa, agli Ordini per come hanno affrontato questo periodo così difficile». Quando la presidente Masi sale sul palco del Teatro Politeama di Lecce, epicentro inaugurale del trentacinquesimo congresso nazionale forense, è come se quelle parole di Foglia si trasformassero in un’ondata di affetto e gratitudine: un applauso che monta dal profondo della splendida sala, dai 600 avvocati congressisti che sono riusciti a prendere posto qui (tanti altri seguono per interposto ma claudicante streaming dal Teatro Apollo) per ascoltare la relazione della presidente Cnf. Attorno a Masi l’avvocatura si stringe con speranza. Con consapevolezza delle difficoltà ma con implicita fiducia nella frase chiave che il vertice dell’istituzione forense rivolge ai colleghi: «Torniamo a credere nel nostro ruolo centrale non solo nella giurisdizione ma nella difesa dello Stato di diritto, della stessa democrazia».

Reagire alla crisi identitaria 

Ecco: Masi parla anche del necessario riconoscimento della avvocatura («termine che in questo caso preferisco alla parola avvocati») in Costituzione. Ma prima di sollecitare la politica a sancire ciò che la professione è già, la presidente del Cnf sollecita la platea degli avvocati riuniti a Lecce a «ritrovare la nostra identità: va affrontata una crisi che non è solo economica ma anche culturale, e che certo non riguarda solo noi. Ma quella crisi nel nostro caso si trasforma in uno smarrimento identitario. Dobbiamo superarlo attraverso la consapevolezza del nostro ruolo, a partire dalla capacità di valorizzare gli obiettivi che siamo stati in grado di cogliere».Consapevolezza della crisi, dunque: il discorso di Masi nel primo congresso nazionale forense post pandemico risente dei due anni che hanno aggravato la condizione dell’avvocatura. La presidente chiede di «discutere, confrontarci davvero per trovare le risposte. Mettere da parte le polemiche e saper arrivare, in questo congresso, a soluzioni comuni. Con la capacità di guardare avanti».

Rimediare ai limiti delle riforme 

E guardare avanti significa anche dare concretezza alle aspirazioni che più sembrano connotate in senso ideale: «Credere nella nostra funzione di difensori della stessa democrazia significa, certo, anche pretendere il riconoscimento della avvocatura in Costituzione. Un riconoscimento necessario come dimostrano alcuni aspetti delle ultime riforme: penso ai passaggi che, nel ddl sulla giustizia tributaria, mettono in discussione l’obbligatorietà della nostra funzione difensiva. È andata così, evidentemente, anche perché non è ancora esplicito il nostro rilevo costituzionale», dice Masi anche in riferimento alla lettura rassicurante offerta poco prima dal pg di Cassazione Luigi Salvato.La presidente del Cnf non nasconde di voler leggere tutto «a partire da noi, dalla nostra prospettiva». Anche «dagli effetti negativi di alcune riforme: abbiamo rivolto alla ministra Cartabia le nostre preoccupazioni già alla sessione congressuale di luglio 2021, continuiamo a esprimere i nostri rilievi. In linea con l’invito rivoltoci dal presidente della Repubblica. Certo noi intendiamo boicottare le riforme».

Il messaggio di Mattarella 

Qui Masi fa riferimento al messaggio del Quirinale. Da lei stessa letto, in effetti, prima ancora che le autorità rivolgessero i loro indirizzi di saluto. Nel formulare «auguri di buon lavoro», Sergio Mattarella ricorda che «nell’importante stagione di rinnovamento del processo sia civile che penale» l’avvocatura «è chiamata a fornire il proprio qualificato contributo per assicurare che le nuove norme consentano la necessaria accelerazione di tempi di definizione dei giudizi». Ecco, seppur avverta il peso della responsabilità assegnata dal Colle, Masi non può sottrarsi dal ricordare che «se la riforma è questa, mi riferisco in particolare al civile, il risultato sui tempi non lo conseguiremo». Naturalmente, aggiunge il vertice dell’istituzione forense, «non mancheremo di rinnovare al nuovo governo le istanze affinché si torni a intervenire sia sul penale che sul civile». A proposito di governo, c’è modo di un riconoscimento dell’avvocatura istituzionale al sottosegretario Francesco Paolo Sisto: «Prendo atto del suo impegno anche sull’equo compenso, ed è stato giusto che qui poco fa, fosse lui a dare notizia dell’imminente pubblicazione del decreto sui parametri forensi in Gazzetta». Prendere atto degli obiettivi raggiunti: è il caso della riforma dell’ordinamento giudiziario «a cominciare dalla partecipazione non più muta ma sostanziale nelle valutazioni sui magistrati», a proposito del diritto di voto per gli avvocati nei Consigli giudiziari.Ritrovare l’avvocatura di BaseE poi si arriva appunto al passaggio chiave sul riscatto identitario: «Dobbiamo saper trovare conforto nel privilegio di difendere i diritti, i diritti di tutti. Dobbiamo chiederci se siamo ancora in grado di esprimere valori sociali e se la società civile ci identifica come portatori sani di quei valori». E la risposta non può che essere che sì, «siamo in grado, anche quando lo facciamo lontano falla ribalta, anche quando a farlo sono avvocate e avvocati ai quali non viene riconosciuta adeguata retribuzione». Il conforto può venire anche dai risultati raggiunti in quelle parti condivisibili della riforma civile, soprattutto «rispetto al nuovo Tribunale della famiglia, non esclusa la possibilità di assumere funzioni non solo relative alla difesa in giudizio. Dobbiamo partire da qui, ma per farlo dobbiamo saper cogliere anche in questo congresso l’occasione di riflettere sugli obiettivi mancati, su quelli da cogliere, e poi decidere. Senza attardarci nei conflitti interni. Non sprechiamo tutto».Perché si possa ritrovare orgoglio e consapevolezza «dobbiamo ricordarci di saper essere titolari di azioni atte a difendere la democrazia», e cita l’adesione all’iniziativa, partita dal Cpo della Cassazione, di solidarietà nei confronti delle donne iraniane, manifestata con un indumento o accessorio rosso che molti, anche in platea, indossano. C’è ancora spazio, nella relazione di Masi, per lo «sbilanciamento che vede i magistrati, nel civile, affrancati da quei termini perentori imposti invece a noi avvocati», e dalla platea si allarga un applauso impetuoso quasi quanto quello iniziale. E ancora, Masi ricorda «la trattazione scritta che spesso non basta, perché in procedimenti delicati è necessario parlarsi direttamente», così come il principio della sinteticità degli atti che «non può tradursi in un limite all’attività del difensore. Ma è sempre la sollecitazione identitaria che torna: «Non sempre veniamo considerati come risorsa necessaria per il paese, ma è a questo che dobbiamo puntare». Vanno risolti i conflitti interni per poi decidere: «Ci siamo divisi sulle specializzazioni, discutiamo sui correttivi possibili». Ma «la legge professionale va difesa: non deve essere manomessa». Si pensi a tutelare «la giovane avvocatura come l’avvocatura femminile, che non deve vivere l’umiliazione di trovarsi 40 o a 50 anni priva delle risorse per provvedere a se stesse». Ma soprattutto «va ritrovato il rapporto fra l’avvocatura rappresentativa e quella di base, che non si interessa di politica forense perché impegnata a difendere la qualità del proprio lavoro e a rispondere ai propri bisogni economici. Va ritrovata la forza di riscoprirci comunità, nella convinzione dei valori di cui siamo tutori».Una scossa. Che parte dalla crisi, ma con parole che sanno di speranza.