Si fa presto a parlare di giustizia per slogan. A inseguire il mito dell’efficienza, sacrificando i diritti come se fossero merce di scambio. Ma per garantire una buona giurisdizione non c’è una formula magica: bisogna sedersi insieme, riflettere, fare sintesi. E assumere un approccio concreto. È questo il monito della presidente del Cnf Maria Masi, che in occasione del XXXV Congresso Nazionale Forense in programma a Lecce dal 6 all’8 ottobre invita ancora una volta la politica all’ascolto. All’ascolto adeguato dell’avvocatura, che a sua volta dovrà farsi garante di una funzione più ampia nella società, fuori e dentro il processo. «È una questione di identità», spiega Masi. Che pone un solo limite a questo nuovo orizzonte: che la giustizia sia «empatica», che tenga davvero «la persona al centro».

Presentando i lavori congressuali, Lei ha espresso un “pessimismo razionale” da parte dell’avvocatura istituzionale rispetto agli esiti delle riforme appena approvate. E ha sottolineato che intervenire sui riti non basta: bisogna investire su risorse e strutture. Una richiesta, questa, che sembra rimasta inascoltata.

Sensazione confermata dai fatti. E questo un po’ spiace perché si avverte una forma di pregiudizio nei nostri confronti, come se l’avvocatura parlasse sempre e solo per interessi di parte. Il contributo che invece abbiamo tentato di dare è sempre stato espresso in maniera costruttiva e sulla base della conoscenza e consapevolezza dei problemi reali e degli ostacoli. Per quanto riguarda il processo civile, abbiamo accolto con favore la riforma del diritto di famiglia, invocata da anni, che asseconda e rispetta le indicazioni e i contributi dell’avvocatura istituzionale e associativa del settore. Ma non si può dire lo stesso per le norme introdotte e modificate che riguardano il processo di cognizione. Fase fondamentale, in cui si delinea tutto il processo e soprattutto fase in cui è necessario realizzare tutte le garanzie di difesa. Ecco, i contenuti dei decreti definitivamente approvati nei giorni scorsi, notevolmente diversi, e non solo nella forma, dagli esiti licenziati dai gruppi di lavoro, disattendono le nostre indicazioni e rischiano ancor di più di fallire l’obiettivo: ridurre i tempi di durata dei processi. Con l’ulteriore effetto negativo di aver contratto le garanzie, onerato oltre il sostenibile la parte e quindi l’avvocato e senza preoccuparsi di riequilibrare oneri e responsabilità con chi è chiamato a giudicare e soprattutto a decidere.A ciò si aggiunga che con riferimento all’attività sussidiaria dell’avvocatura nell’ambito della volontaria giurisdizione, la riforma non ha trascurato del tutto la possibilità di considerare l’avvocatura come risorsa, ma è mancato il coraggio di fare un ulteriore passo in avanti attribuendo agli avvocati funzioni e competenze che porterebbero a una deflazione del carico della giustizia civile.

E per quanto riguarda la riforma del processo penale?

Nel penale, l’esercizio della delega è stato certamente più fedele rispetto al lavoro fatto dalle commissioni e dai gruppi di lavoro. Però ci sono aspetti su cui sarà necessario intervenire. In alcuni ambiti il sistema, così come emendato, è molto farraginoso e complicato da attuare. Mi riferisco in particolare alla giustizia riparativa, che non è un aspetto secondario, a giudicare dalle finalità, anche rispetto al ruolo dell’avvocatura in questo ambito.

La riforma della giustizia tributaria, invece, ha subito un’accelerazione improvvisa.

Non direi improvvisa, anzi prevedibile. Non prevedibile invece la virata, assolutamente non condivisibile, verso forme di patrocinio o abilitazioni non propriamente tecniche in palese violazione del principio di riserva a conferma di quello che noi sosteniamo da tempo: se il ruolo e la funzione dell’avvocato fossero già in Costituzione non si correrebbe il serio pericolo che invece corriamo.

Quale pericolo?

Che la funzione di difesa e di rappresentanza dell’avvocatura sia considerata fungibile, non obbligatoria come dovrebbe essere, ossia una prerogativa assoluta.

Il Congresso sarà anche l’occasione per avviare un’interlocuzione con il prossimo governo. Cosa si aspetta e cosa chiede l’avvocatura al nuovo esecutivo?

Chiediamo ancora una volta rispetto e considerazione. Alla vigilia delle elezioni il Cnf ha incontrato i rappresentanti di tutte le maggiori formazioni politiche per confrontarsi sui temi che ci occupano e ci preoccupano. A cominciare dall’equo compenso, bocciato al Senato in coda alla legislatura, dal ddl sull’avvocato in Costituzione, che oggi potrebbe essere declinato anche in altri modi, fino all’esigenza di una tutela specifica dei e per i professionisti non identificabili e non sempre sovrapponibili tout court ai lavoratori autonomi. I presenti in rappresentanza e per conto dei loro partiti hanno manifestato condivisione e apprezzamento, assumendo formale impegno di attenzione e promozione dei progetti e delle proposte. Noi non ci stancheremo di sollecitarlo.

Lei ha sottolineato che occorre intervenire sulla giustizia in maniera concreta. Quali sono le priorità su cui indirizzare l’agenda politica?

La giustizia è da sempre oggetto di propaganda. Tutti parlano di giustizia, anche chi non ha alcuna contezza o adeguata conoscenza di quello di cui si discute, trascurando anche aspetti essenziali. Persiste la falsa convinzione che la giustizia sia avulsa e distante dall’economia e dagli indici di crescita di questo Paese. E invece l’una è anche funzionale all’altra, senza che ciò significhi che è legittimo considerare merce i diritti. I cittadini devono sentire la giustizia vicina al loro bisogno di tutela, non solo in senso astratto, ma “prossima” in senso proprio.

Uno dei temi congressuali riguarda la natura giuridica degli ordini degli avvocati, subissati di lavoro da parte delle amministrazioni.

È una battaglia che l’avvocatura istituzionale porta avanti da tempo perché riteniamo che gli attuali oneri (non tutti ma tanti) siano frutto di una forzatura interpretativa. Il fatto che il Cnf e gli ordini territoriali siano istituzioni pubbliche non è certo in discussione. Ma esiste una natura specifica della nostra attività non certo assimilabile ad altre pubbliche amministrazioni, e quindi riteniamo iniquo, oltre che inutile, attribuire agli Ordini carichi di lavoro e oneri, non sempre facili da gestire, che distolgono risorse e energie a compiti, funzioni e attività altrettanto importanti che ci competono.

Nel corso del Congresso si discuterà anche dell’emergenza carcere.

L’attenzione dell’avvocatura sul carcere e su tutti i gravissimi problemi che ne derivano è sempre molto alta anche se non sempre efficace. Su questo tema, come su altri, il rischio di dispersione di autorevolezza è altrettanto alto. L’assoluta inadeguatezza delle strutture penitenziarie è evidente: il problema del sovraffollamento e alcune condizioni di detenzione configurano certamente una reiterata violazione dei diritti umani. Anche da questa consapevolezza nasce la volontà di collaborazione del Cnf con il Garante delle persone private della libertà. Bisogna valorizzare gli strumenti alternativi al carcere, quando è possibile e quando la pena da scontare lo consente, garantendo la sua funzione rieducativa. Senza trascurare la detenzione femminile nei casi di maternità dietro le sbarre che non può e non deve lasciare indifferenti.

Veniamo all’impiego dell’intelligenza artificiale nella giustizia, altro tema centrale nel programma congressuale.

Forse l’avvocatura ha inizialmente e per un bel po’ di tempo trascurato le nuove tecnologie applicate al sistema giustizia e all’esercizio della nostra professione o, più semplicemente, non abbiamo avuto un approccio giusto. Cogliamo allora l’occasione per rimediare e recuperare. C’è finalmente interesse, ma soprattutto preoccupazione per quello che potrebbe rappresentare e per le conseguenze non tutte prevedibili. Lo dimostra il fatto che molte delle mozioni presentate e ammesse hanno al centro questo argomento. Dobbiamo essere consapevoli dei rischi che possono derivare da un cattivo utilizzo delle nuove tecnologie, operando una distinzione chiara tra giustizia predittiva e intelligenza artificiale, il cui utilizzo può essere più ampio e soprattutto funzionale. A patto però che non ci dimentichi mai di mettere al centro la persona, non numeri e statistiche.

In questi anni l’avvocatura è stata vittima di una narrazione negativa, che tende ad assimilare il difensore con il proprio assistito. Come si supera questo tipo di racconto?

Questo è un problema serio, soprattutto culturale, che l’utilizzo dei social ha amplificato in palese violazione di regole e principi, e non solo quelli di diritto. Come ne usciamo? Agendo sul profilo culturale, ma bisogna che contribuiscano soprattutto i mass media e che l’avvocatura colga la grande opportunità di essere in prima linea per arginare questa deriva.

Questo Congresso arriva dopo una crisi sanitaria che ha cambiato anche il volto dell’avvocatura. Con effetti economici che hanno spinto molti professionisti ad abbandonare la toga.

Sarà banale come considerazione ma è un dato di fatto. Non siamo gli stessi né come persone né come professionisti. È dolorosamente evidente che la pandemia abbia cambiato ciascuno di noi, rendendo ancora più precarie alcune delle certezze che pensavamo di avere. Per questo è importante riannodare i fili del nostro percorso in cui la vulnerabilità emersa possa essere considerata non un handicap ma un’opportunità da cogliere per capire quanti e quali siamo oggi a voler continuare ad esercitare questa nostra complicata ma bellissima professione, e in che modo. Per tanti giovani colleghi e per moltissime giovani e meno giovani colleghe, rinunciare alla professione forense per una maggiore tranquillità economica è stata una scelta sofferta. Un sacrificio che merita non solo rispetto ma l’impegno serio a individuare soluzioni più che rimedi, affinché si possa continuare ad essere liberi di scegliere di essere e non solo di fare, di poter vivere e non solo sopravvivere nella nostra professione. Il contributo di discussione che ci aspettiamo dal Congresso è finalizzato a condividere che esistono anche altre realtà, e a capire in che modo queste possono coniugarsi con il nostro ruolo e la nostra funzione.