«È stata una stagione da una parte liberatoria, ma che dall’altra richiede ulteriori interventi». Sabato pomeriggio: Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, ha appena concluso il proprio applauditissimo intervento al congresso straordinario dell’Unione Camere penali, a Pescara. Ha parlato di riforme possibili e necessarie. Ma non ha stroncato quanto fatto nell’ultimo anno e mezzo abbondante, con Marta Cartabia nelle vesti di guardasigilli.

Il suo giudizio sulle riforme della giustizia dettate dalle scadenze europee non è dunque di censura. Spiega alla platea degli avvocati: «Va colto in chiave positiva un aspetto dirimente: con agli interventi prodotti nel periodo in cui Cartabia ha rivestito la carica di guardasigilli, siamo usciti dall’equivoco secondo cui le riforme della giustizia vanno scritte sotto il diritto di veto e di beneplacito della magistratura. Perché è così che è andata negli anni precedenti. Da Mani pulite in poi, abbiamo assistito a paradossi come quello delle norme sull’induzione alla corruzione: anziché semplificare il quadro, chiarire la natura del reato di concussione, l’hanno reso ancora più equivoco. Il tutto sotto la spinta degli orientamenti della magistratura, alla quale la politica ha lasciato quella che è stata definita supplenza, e che di fatto è uno sconfinamento».

Da dove si può ripartire? Il presidente emerito della Consulta ha alcune priorità. Il carcere, innanzitutto. Alcuni interventi ulteriori sulla giustizia penale. Ma prima ancora, il completamento della riforma sull’ordinamento giudiziario. «Assolutamente urgente ma rimasta in sospeso», spiega al congresso Ucpi. «A differenza di quanto avvenuto con le nuove norme sul penale, sul civile e sull’ufficio del processo, i contenuti della legge su Csm e ordinamento giudiziario restano inefficaci, perché espressi appunto in forma di delega ma non ancora attuati da decreti, com’è invece avvenuto per le altre materie. E a me sembra che quella parte sia assai urgente». Più urgente di ulteriori interventi sul processo penale. «Naturalmente ci sono molti aspetti della riforma penale che vanno chiariti, eliminati, o almeno migliorati. E resta la grave, incivile situazione delle nostre carceri, indegna perché appunto offende innanzitutto la dignità. Ma se vogliamo un riequilibrio del sistema, è nell’ordinamento della magistratura che vanno compiuti interventi incisivi. Anche per rimediare all’insufficiente risposta che l’ordine giudiziario ha fin qui espresso rispetto ai cosiddetti scandali, agli eccessi del correntismo».

Certo non può ridursi tutto all’espulsione di Palamara. «Non mi piace fare nomi in questo caso. Mi dà persino fastidio. Mi pare che l’autorigenerazione e l’autodisciplina non si siano viste. E qui le riforme servono. E non ci si dovrebbe limitare ad attuare la delega. Servono ulteriori passi avanti. Come andrebbero riconsiderate alcune parti della riforma ordinamentale già entrate in vigore». Flick si riferisce alle cosiddette porte girevoli. «Lo stop era necessario. Ma intanto, ci sono casi in cui bisogna guardarsi dall’eccesso.

Proveniamo da una situazione in cui a lungo, sugli incarichi extragiudiziari, è esistito il solo riferimento della normazione secondaria prodotta dal Csm. Adesso non vorrei si arrivasse a un divieto assoluto di impegno della magistratura in attività extragiurisdizionali», prospettiva che viene invece auspicata dai penalisti.

«Ma in casi come il rapporto fra ordinamenti a livello internazionale, per esempio, quelle attività sono secondo me indispensabili», dice il presidente emerito della Corte costituzionale. «Dall’altra parte vedo che sì, viene molto limitata la possibilità di rientrare nell’ordine giudiziario dopo la scelta di far politica. Ma io vorrei fosse anche più rigido il meccanismo secondo cui chi per esempio proviene dalla carica di procuratore nazionale Antimafia debba attendere almeno un po’ prima di lanciarsi nell’agone politico, cosa che invece su verifica ormai puntualmente» .

Ma al congresso Ucpi di Pescara, Flick accusa innanzitutto la politica di aver lasciato che, sulla giustizia litigassero magistratura e avvocatura, e se n’è lavata le mani. «Il che non vuol dire che magistrati e avvocati siano estranei al processo riformatore.

Ne sono protagonisti. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo assai severo passaggio sulla giustizia all’interno del discorso alle Camere, lo scorso 22 febbraio, esattamente quattro anni dopo aver rivolto al Parlamento parole assai diverse sui magistrati, a partire dal ricordo delle figure di Falcone e Borsellino. Magistratura e avvocatura devono saper dialogare, trovare la giusta distanza, riscaldarsi senza pungersi, come insegna la metafora di Schopenauer sui porcospini. Ma l’iniziativa spetta innanzitutto alla politica».

E non c’è solo da completare la riforma del Csm. «Meritano sicuramente di essere rafforzate alcune parti della riforma penale. Sui riti alternativi, per esempio. E vanno eliminati aspetti davvero discutibili, come la norma sulla cosiddetta improcedibilità. Una costruzione difficile anche da definire terminologicamente. Devo anche dire però che il metodo, nella nuova legislatura, mi auguro sia quello della ragionevolezza. Mi riferisco alla necessitò di saper anche dare il tempo ad alcune nuove norme appena introdotte d dimostrare la loro efficacia».

Ma è sul carcere che Flick ritiene non si possa più attendere. Lo spiega dopo aver citato l’intervento pronunciato poco prima dal capo del Dap Carlo Renoldi. «Ha usato un’espressione molto efficace: di carcere, in Italia, ce n’è troppo e male. Ecco, va riconsiderato il ricorso alla detenzione intramuraria come forma prevalente di esecuzione della pena. Va tenuto presente che la restrizione in un penitenziario offende la dignità della persona perché nega l’affettività, priva dello spazio e annulla il tempo. Il tempo cessa di esistere nel momento in cui chi è recluso in una cella viene anche privato della prospettiva del riscatto, della speranza. Sul carcere le riforme sono urgenti».

In realtà da quel che si intuisce la giustizia non sarà una priorità della nuova fase politica. Ma per Flick, «la politica non può ripetere gli errori del passato e lavarsene le mani. Non è possibile. Si è per anni rassegnata alla cosiddetta supplenza della magistratura e ora, come detto, è proprio la magistratura che necessita interventi. Non si può lasciare in sospeso il discorso che Cartabia ha sì avviato, ma che va completato, anche nel penale. Mi auguro che si proceda con l’ascolto, anche degli avvocati».

A Pescara Flick non manca di ricordare i fattori che hanno distratto l’ultima campagna elettorale dal discorso sulla giustizia: la guerra, la crisi energetica, e tutto dopo due ani e mezzo di pandemia. Ma non occuparsi di giustizia, e di carcere innanzitutto, è scelta che il presidente emerito della Consulta giudicherebbe come un errore. E suscita così applausi dalla platea dei penalisti, nonostante non addolcisca affatto la sua «perplessità» sull’altra riforma indicata come inderogabile dall’avvocatura, la separazione delle carriere».

«Non credo», spiega, «rappresenti la strada più efficace per rimettere i poteri del pubblico ministero su un piano di equilibrio, lo si dovrebbe piuttosto vincolare a un maggiore rispetto del precedente e anche dei termini del procedimento». D’altronde al congresso dei penalisti Flick suscita una vera e propria ovazione quando dice: «Sono stato e sono avvocato» : E aggiunge: «Ho vissuto anche l’esperienza del magistrato. Ritenevo allora di dover cercare le certezze della legge. Ho rafforzato poi, con le mie esperienze successive, la cultura del dubbio, E ho colto l’importanza di coltivarlo, quel dubbio, come spinta costante per il dialogo».