Standing ovation per Gian Domenico Caiazza al termine del suo intervento stamattina al Congresso straordinario dell’Unione Camere Penali in corso a Pescara. Un’ora di relazione, venti lunghe pagine per tracciare la strada fatta fino ad ora e quella soprattutto che ci sarà da fare. Con lui alla guida dell’Unione per un altro anno. Poi si vedrà al Congresso di Firenze che decreterà nel 2023 il nuovo presidente. Ma veniamo ai punti principali di quanto ha detto il leader dei penalisti: «Abbiamo dovuto affrontare insomma, come preconizzava il titolo del congresso di Sorrento che ci ha eletti, letteralmente il buio oltre la siepe. Intanto, il primo governo populista e giustizialista del Paese, cioè dichiaratamente ed orgogliosamente tale. Un Governo la cui cifra identitaria e la cui consistenza programmatica era tutta costruita sulla demolizione e la messa all’indice di tutti quei valori - del diritto penale liberale e del giusto processo - che da sempre costituiscono la ragione fondativa del nostro patto associativo». Poi «abbiamo affrontato il nostro serrato confronto con la Ministra Cartabia e la sua “mission impossible”: innestare sulla impalcatura di base della legge delega Bonafede sulla riforma dei tempi del processo penale idee e proposte nuove che segnassero una netta cesura con il populismo penale imperante, in coerenza con i principi costituzionali richiamati dalla Ministra nel suo vibrante intervento di esordio alla Camera dei Deputati, che tutti ben ricordiamo». E adesso? «I penalisti italiani dovranno rilanciare una forte iniziativa politica da proporre al nuovo Parlamento, che porti ad un chiaro processo di revisione almeno delle più gravi storture. D’altro canto, lo strumento normativo per ritornare sui decreti delegati e correggerli esiste, ed è il comma 4 dell’art. 1 della legge 134, che così testualmente recita: "Il Governo, con la procedura indicata al comma 2, entro due anni dalla entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega di cui al comma 1 e nel rispetto dei principi e criteri direttivi per essa stabiliti, può adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi". Ecco dunque un chiaro indirizzo per la nostra iniziativa politica dei prossimi mesi. Inoltre, occorrerà impegnarsi in una intensa proposizione, nella quotidianità della nostra attività professionale, di eccezioni e questioni, anche di sindacato costituzionale, che l’Unione dovrà saper sollecitare e promuovere con l’ausilio prezioso dei suoi Osservatori; e il pensiero corre, primo fra tutti, al complesso di deroghe ai termini di maturazione della improcedibilità in appello, rimesse all’inconcepibile arbitrio valutativo del giudice». «Ma vi è un altro tema che si impone» per Caiazza «con urgenza sempre più drammatica, alla ineludibile attenzione del nuovo Parlamento: il tema della libertà del difensore. Sono ormai quotidiane le notizie allarmanti che vanno dalla intercettazione sistematica dei colloqui tra difensore ed assistito, fino alla sempre più frequente sottoposizione ad indagini penali di avvocati, in conseguenza dell’esercizio delle proprie funzioni e prerogative di difensori: da ultimo, le forti iniziative delle CP di Bari e di Torre Annunziata. Non ha mai smesso di covare sotto la cenere l’antica, odiosa idea del difensore quale naturale favoreggiatore del proprio assistito; mentre lo sviluppo ipertrofico di nozioni fluide di concorso di persone nel reato e di onnivore ipotesi associative hanno portato il rischio professionale dell’avvocato a livelli che paiono ormai davvero fuori controllo». «Ciò avviene in particolare, come è ovvio, in quei contesti giudiziari e territoriali che favoriscono la iper-produzione di indagini spesso elefantiache su fenomeni associativi di stampo mafioso, nelle quali la ricerca del colletto bianco, primo tra tutti quello dell’avvocato, si atteggia ormai ad elemento indispensabile per qualificare il livello e l’importanza della indagine stessa. Abbiamo di recente sentito un certo politico, che solo l’impazzimento di questi anni bui ha potuto porre ai vertici nientedimeno che della Commissione Antimafia, dire che la Mafia in Calabria ha il volto e le vesti dell’Avvocato. E’ vero che personaggi di simile miseranda fattura sono già riassorbiti dal gorgo implacabile della dimenticanza e della irrilevanza che essi meritano; ma si tratta di affermazioni che rendono bene l’idea di quanto sto dicendo». «Dunque, un fenomeno molto diffuso in precisi ambiti territoriali, ma che sarebbe un errore fatale considerare come un problema peculiare della avvocatura meridionale in quanto tale. Il fenomeno ha connotati di carattere generale, implica principi fondativi dello statuto del difensore ad ogni latitudine, e ad esso occorre reagire con determinazione, rilanciando il tema di ormai sempre più necessari interventi normativi che restituiscano effettività e concrete garanzie alla libertà del difensore».