Hanno declassificato Cesare Battisti da Alta Sicurezza (AS) a regime di media scurezza e subito Fratelli d’Italia, il partito di maggioranza dell’imminente governo, grida alla vergogna. La campagna elettorale però è finita, quindi non avrebbe più senso cavalcare uno scandalo che non c’è. Come prevede l’ordinamento penitenziario, ogni sei mesi andrebbe svolta una verifica su ogni detenuto recluso nel regime di alta sicurezza per valutare se abbia raggiunto i requisiti per ricevere una carcerazione più tenue. Tutto qui. Non significa restituirgli la libertà, nemmeno abbassargli la pena, ma applicare le regole penitenziarie. Una delle peculiarità delle destre, è il rispetto ferreo delle regole. Nel caso di Battisti, è avvenuto ciò.

Prima di parlare della declassificazione, bisogna partire dal fatto che all’interno del carcere la popolazione detenuta è divisa tra categorie cosiddette “omogenee” in termini di pericolosità. Tutti i detenuti generalmente sono considerati di media sicurezza. Invece, per una categoria considerata maggiormente pericolosa, sono creati dei circuiti che garantiscono elevati livelli di sicurezza. Come ha ben spiegato il Garante nazionale delle persone private della libertà tramite un rapporto tematico dell’anno scorso, questi circuiti sono definiti con un atto amministrativo e non con una norma di carattere primario. La decisione di prevedere tre sotto- circuiti nasce, nel 2009, dall’esigenza, specificata nella circolare Dap 3619/ 6069, di rispondere alla eterogeneità dovuta alle differenti connotazioni di natura criminale alla base della presenza delle persone nell’allora circuito “Elevato indice di vigilanza” (Eiv), da quel momento sostituito dal circuito dell’Alta sicurezza.

La previsione di ben tre sotto- circuiti, pertanto, originariamente risponde proprio all’esigenza di differenziazione, «garantendo che la popolazione carceraria sia suddivisa per categorie omogenee», pur prevedendo che questa non si riverberi in una minore pregnanza trattamentale, ma che, al contrario, consenta di finalizzare meglio il percorso rieducativo sulla base di un’azione mirata per ciascuna categoria.

In questa prospettiva, la circolare stabilisce che:

  • al sotto-circuito di Alta sicurezza 1 (As1) siano assegnate le persone detenute «appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all’articolo 41- bis o. p.»;
  • al sotto-circuito di Alta sicurezza 2 ( As2) i «soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza»;
  • al sotto-circuito d Alta sicurezza 3 (As3) le persone imputate o condannate «per i delitti previsti dal primo comma primo periodo dell’articolo 4- bis della legge 354/ 75 ( ad eccezione di quanti siano detenuti per delitti commessi per finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, ovvero per coloro che provengano dal circuito 41- bis o. p.)».
Ma veniamo al punto. Il detenuto collocato in un circuito di Alta Sicurezza può presentare alla Direzione del carcere la “richiesta di declassificazione” che significa passare ad un circuito di Media sicurezza. Fino a più di dieci anni fa, la Direzione del carcere aveva il potere di decidere sulle declassificazioni, dopo aver sentito il parere del Gruppo di Osservazione e Trattamento del carcere e dopo aver letto le informazioni assunte presso la Procura Antimafia competente sull’attualità dei collegamenti con l’organizzazione criminale di appartenenza. Queste informazioni, così come per le proroghe del regime del 41 bis, spesso risultavano nel tempo una ripetizione della formula, che “non si può escludere la persistenza dei collegamenti”. Di fronte a simili informazioni spesso sprovviste di elementi concreti, in alcuni casi le Direzioni hanno iniziato a declassificare persone che dimostravano di avere una buona condotta in carcere, nonché ruoli marginali nella commissione dei reati. Dopodiché hanno inasprito le regole. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, anni fa, ha deciso di togliere la competenza alle direzioni delle carceri e centralizzare le decisioni nella Direzione Generale detenuti, a Roma. Da allora, l’analisi delle informazioni - spesso ferme ad una fotografia lontana del condannato - e la conseguente mancanza di una conoscenza diretta dell’evoluzione del percorso della singola persona – che solo lo staff del carcere poteva avere – hanno reso le declassificazioni uno scoglio burocratico difficile da superare. Infatti le declassificazioni sono rarissime. Ciò crea in realtà un problema. Spesso, al rigetto delle richieste di declassificazione, si ricorre al magistrato di sorveglianza che quasi sempre respinge il ricorso con la formula: «Non soffre di limitazioni nel trattamento penitenziario». In realtà, c’è inevitabilmente la postilla: «Salvo le eventuali “cautele” nell’applicazione di tale trattamento». Di fatto, in AS il percorso di rieducazione è limitatissimo. Le restrizioni sono evidenti. A ciò si aggiunge – come denunciato dal Garante nazionale nel rapporto tematico già citato – che in questi regimi differenziati si determina un microcosmo detentivo, separato dal resto dell’Istituto e da ogni praticabilità di obiettivi diversi dal trascorrere il tempo, segnando oltretutto una disparità di trattamento rispetto alle altre sezioni. Il riferimento è soprattutto all’As2 dove non di rado si ritrovano ex terroristi di sinistra o anarchici assieme alle persone condannate per reati legati al radicalismo violento islamico: a volte in disparità numerica e si rischia un ulteriore isolamento visto lo scontro tra due mondi diversi. Lo abbiamo visto proprio con Battisti quando era recluso in As2 al carcere calabrese di Rossano. Il Garante, sempre riferendosi ai circuiti di AS, ha sottolineato che tutto ciò è in contrasto con la circolare che afferma: «È sempre utile ribadire che la ratio giustificatrice che impone all’Amministrazione una gestione particolarmente attenta di tali detenuti, sotto gli evidenziati profili di sicurezza attiva e passiva, non implica una differenza nel regime penitenziario in relazione ai loro diritti e doveri e alla possibilità di applicare le regole e le opportunità del trattamento penitenziario, se non quelle espressamente previste dalla normativa con riferimento alla natura del titolo di detenzione». Essere declassificati a detenuti comuni di media sicurezza significa non rimanere perennemente nei circuiti di Alta Sicurezza che sono il deserto, significa poter lavorare fuori dalla sezione, cominciare ad intraprendere seriamente un percorso proiettato verso la libertà. E questo vale anche per un ergastolano, mafioso o ex terrorista nero o rosso che sia.

Non c’entra la questione “ideologica”, nessun “soccorso rosso”, ma significa semplicemente tenere a mente gli ideali della nostra tanto evocata costituzione italiana. Molto spesso bistrattata anche da chi la indica come via maestra.