Nella nostra ingenuità pensavamo che con la fine della campagna elettorale sarebbe terminata la scia di fango veleni e colpi bassi tra gli schieramenti. Ci sbagliavamo, perché il  peggio doveva ancora arrivare. Ci ha pensato la giornalista Rula Jebreal che su Twitter riprende un articolo di Repubblica (che a sua volta riprende un pezzo dello spagnolo El Pais) sul padre di Giorgia Meloni, oggi deceduto, ma che in passato ebbe guai con la giustizia in Spagna: "Il padre di Meloni è un famigerato trafficante di droga che ha scontato una pena in prigione" , scrive Jebreal. Mentre il quotidiano di Largo Fochetti piazza questo straordinario "scoop" tra le prime notizie della sua edizione online, senza commentarla, ma con l'evidente intento di colpire la leader di Fratelli d'Italia. Non c'è nessuna scusante, nessuna giustificazione per un simile attacco: sfruttare  una dolorosa vicenda personale per aggredire un'avversaria nella sua sfera intima è  un modo miserabile di condurre la battaglia politica. Qualcosa che confina con la barbarie. Difficile poi credere che a Repubblica non conoscano la biografia di  Giorgia Meloni che fu abbandonata dal padre quando aveva appena sei anni e che quindi, in una simile vicenda, è doppiamente vittima. Sono mesi che i detective del gruppo Gedi spulciano nella sua vita privata, nello "scandaloso" passato, consacrandole pomposi dossier longform (sic) compilati dalle "grandi firme" (tutte maschili peraltro) del giornale. E Jebreal? Invece di chiedere scusa,  rincara la dose e  difende il suo sconcio tweet spiegando di aver voluto evidenziare "la propaganda" della premier in pectore che  "criminalizza gli immigrati per i reati di alcuni di loro". Difficile condensare in modo così efficace malafede e stupidità in una sola frase. Se questo è il livello dell'opposizione Meloni e soci possono stare tranquilli. Governeranno in eterno.