«Gli effetti delle riforme approvate dilatano i tempi dei processi e comprimono il diritto di difesa». La presidente del Consiglio nazionale forense Maria Masi non nasconde l’amarezza di fronte ai contenuti dei decreti legislativi di attuazione della riforma del processo civile, ieri approvati in via definitiva e all’unanimità ieri dal Consiglio dei ministri, assieme a quelli sulla riforma del processo penale e dell’ufficio del processo. Con risultati, ha sottolineato la numero uno di via del Governo vecchio, «addirittura peggiorativi rispetto agli esiti, non pienamente soddisfacenti della commissione di studio e dei gruppi di lavoro». L’amarezza è ancora più cocente in virtù del fatto che i suggerimenti arrivati dal mondo dell’avvocatura, ovvero da chi ha a che fare quotidianamente con le aule di giustizia, non sono stati presi in considerazione. E ciò nonostante gli appelli ripetuti da parte di tutto il mondo dell’associazionismo forense, che ha più volte sottolineato le criticità della riforma ponendo l’accento sul rischio di comprimere i diritti in nome di un’efficienza difficilmente raggiungibile. Già a maggio dello scorso anno Masi aveva evidenziato come i tempi ragionevoli e la qualità della giustizia «non sono perseguibili solo con l'ennesima riforma delle norme di rito in cui, ancora una volta, sono i cittadini a rischiare di pagare il tributo più alto. In nome di una presunta riduzione dei tempi del processo il rischio è quello di sacrificare il diritto di accesso alla giustizia e le garanzie di difesa». E a fine 2020, il Cnf aveva presentato al governo una proposta sull’uso del Pnrr che poneva la “persona al centro”, un piano basato su razionalizzazione normativa, managerialità e formazione dei magistrati. Ma ora che i giochi sono chiusi, il risultato finale appare distante «dai contributi, reiteratamente ignorati, che l'avvocatura ha dato, avendo ben chiare le premesse e le finalità individuate dal Pnrr, ossia, su tutto, la contrazione dei tempi medi dei processi». L’obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza in tema di giustizia è, infatti, quello di ridurre del 40% in cinque anni la durata dei processi civili e del 25% quella dei processi penali, con impegni analoghi per i processi amministrativi. Ma tale proposito, sottolinea Masi, non potrà essere realizzato, «perché i correttivi apportati sulle singole norme non solo non sono adeguati, ma rischiano di dilatare ulteriormente la durata dei processi, con un inutile sacrificio delle garanzie di difesa e del contraddittorio». Diversi i punti sui quali la presidente del Cnf pone l’accento. In primo luogo l’insistenza sul regime delle preclusioni, che le Sezioni Unite hanno già affermato essere causa di ritardo della giustizia civile e che comporta un ampliamento degli oneri a carico dei difensori e quindi delle parti. Un punto sul quale più volte l’avvocatura istituzionale aveva messo in guardia la politica, che, di fatto, ha ignorato gli appelli. Il tutto, sottolinea la presidente del Cnf, «trascurando (violando) i princìpi costituzionali del diritto di difesa e l’accesso alla giustizia, così come già ora, sono numerosi i provvedimenti di magistrati che dispongono modalità di trattazione scritta, non considerando o meglio disapplicando norme e princìpi di un codice ancora vigente, laddove dispongono limiti e vincoli al contenuto e alla forma delle note di trattazione». La nota positiva, per quanto riguarda i decreti attuativi del processo penale, riguarda il «superamento della visione carcerocentrica della pena attraverso il nuovo sistema della giustizia riparativa», un obiettivo che necessita, però, di un’adeguata formazione dei mediatori penali, per la quale il Cnf ritiene fondamentale il contributo dell’avvocatura, oltre che delle università. Ma i decreti attuativi estendono anche il processo a distanza, lasciando aperti «pericolosi spazi interpretativi» e trasformando «indicazioni normative, determinate dall’emergenza sanitaria, in regole generali». «L'avvocatura – conclude dunque Masi - oggi è ben consapevole che il suo ruolo e la sua funzione non possono e non devono esaurirsi nella giurisdizione e nel processo, ma proprio nella giurisdizione e nel processo non intendono abdicare alla loro infungibile funzione. Per questo continueremo a rappresentare e a sostenere le ragioni del giusto processo in ogni sede e soprattutto nei confronti di chi nell'immediato futuro avrà la responsabilità di guidare il Paese».