Marco Tarchi, ordinario di Scienza Politica a Firenze, analizza le elezioni politiche appena passate e spiega che «il profilo di Fratelli d’Italia è oggi quello di un “partito pigliatutto”, che riesce a raccogliere consensi, grazie a un’immagine che accosta nazionalismo e richiamo a valori conservatori, in ambienti disparati». Sulla composizione del nuovo governo è chiaro: «Ci saranno discussioni e attriti, come sempre accade in trattative di questo tipo, ma superarli è un interesse comune e, dati i numeri attuali alla Camera e al Senato, eventuali dissidenze personali non avrebbero un peso determinante, il che eserciterà un potere dissuasivo nei confronti dei riottosi».

Professor Tarchi, il voto di domenica ha certificato il trionfo di Giorgia Meloni, alla guida della coalizione di centrodestra. Pensa che il voto per Fratelli d’Italia sia di protesta simile a quello del M5S del 2013 o vede delle differenze strutturali?

Mi pare una situazione diversa. In buona parte, quell’oltre 26 per cento è frutto dei… prestiti forzosi degli alleati e del loro ridimensionamento, che ha fatto affluire su Fratelli d'Italia, voti “moderati”. Il voto di protesta era stato intercettato in misura maggiore dalla Lega nelle elezioni europee di tre anni fa, quando il partito di Salvini non era andato lontano dal 35 per cento. Qui siamo ancora molto sotto quel livello, e la combinazione fra i due partiti, allora, dava una somma del 40,7 per cento. Il profilo di Fratelli d’Italia mi pare oggi quello di un “partito pigliatutto”, che riesce a raccogliere consensi, grazie a un’immagine che accosta nazionalismo e richiamo a valori conservatori, in ambienti disparati.

La Lega è crollata sotto al 10 per cento, anche se grazie agli uninominali riesce ad avere una buona pattuglia di parlamentari. Pensa che una differenza così ampia da Fratelli d'Italia, che ad esempio ha più che doppiato il Carroccio in Veneto, possa creare problemi al futuro governo?

Frizioni e competizione ci saranno certamente, ma non credo che saranno spinti fino a creare seri ostacoli all’azione di governo, che si presenta molto impegnativa. È interesse comune di Meloni e Salvini, che sul piano delle idee non sono molto distanti, dare un’immagine di solidità e durata alla futura compagine governativa. I rischi potrebbero venire invece dall’ala “moderata”, che potrebbe essere tentata da convergenze puntuali con altre frazioni centriste su alcuni temi.

Forza Italia sembra non morire mai e ha finito per tallonare addirittura la Lega. Riuscirà Berlusconi a porsi da garante del governo sulle questioni internazionali?

Di sicuro aspira a farlo, perché questo è l’unico ruolo che gli rimane per ottenere quella visibilità di cui psicologicamente non riesce a fare a meno. Il problema è che Berlusconi non è immortale e che, come si è visto anche di recente, l’età lo porta talvolta a straparlare, e questo potrebbe complicare, invece di appianarli, i rapporti del governo con gli attori internazionali. Attenzione anche ai cambi di casacca, non infrequenti nel parlamento italiano. La tentazione di salire sul carro del vincitore può essere forte anche per candidati eletti nelle file di Forza Italia.

Si parla di alcuni tecnici al governo, ad esempio al ministero dell’Economia. Pensa che il centrodestra riuscirà ad accordarsi sui nomi dei ministri o ci saranno degli attriti?

Ci saranno discussioni e attriti, come sempre accade in trattative di questo tipo. Ma superarli è un interesse comune e, dati i numeri attuali alla Camera e al Senato, eventuali dissidenze personali non avrebbero un peso determinante, il che eserciterà un potere dissuasivo nei confronti dei riottosi. Sui ministri tecnici Meloni dovrà comunque procedere con cautela, perché le sue accuse alle tentazioni tecnocratiche e ai governi di “non eletti” sono fra i motivi del suo successo.

Il centrosinistra perde male e la crisi del Pd sembra inarrestabile, mentre il Movimento dato per morto fino a poche settimane fa recupera qualcosa, pur dimezzando i voti del 2018. Pensa che i due partiti faranno opposizione assieme?

In alcuni casi sì, ma non sistematicamente, perché, checché si dica sulla sua presunta svolta a sinistra, il parziale recupero di consensi del M5S è stato favorito da una forte polemica nei confronti del Pd e dall’assunzione di toni vagamente populisti che mal si accordano con la volontà di questo partito di accreditarsi, persino più che in passato, come il partito istituzionale, cioè dell’establishment, per eccellenza.

Veniamo al terzo polo, che non è riuscito nel sorpasso a Fi e dunque non ha rubato gli elettori che voleva alla parte “moderata” del centrodestra. Il progetto continuerà o Renzi e Calenda sono destinati a dividersi?

Due milioni di voti non sono un patrimonio trascurabile, ma l’aver mancato, e non di poco, il traguardo simbolico del 10 per cento e di conseguenza aver affossato l’ipotesi di poter promuovere una nuova fase dell’ “agenda Draghi”, crea un problema di strategia politica molto complicato per Azione e Italia viva, che non sono neppure il terzo polo, ma il quarto ( o, come lista, il sesto). Che fare, per differenziarsi dalle altre opposizioni e mantenere, se non altro, un livello sufficiente di visibilità? Puntare a creare un vero partito o privilegiare la dimensione del movimento di opinione? Inoltre, le personalità troppo spiccate dei due capifila non inducono all’ottimismo quanto alle loro capacità di convivenza e reciproca sopportazione a medio termine.