Dunque ci siamo: la nuova legislatura è iniziata. Certo, in una situazione così scivolosa, dovremo ancora una volta aspettare la guida del Quirinale per capire la direzione che prenderà la nostra politica, ma una cosa possiamo dirla con certezza: siamo ancora impantanati nello schema antiestablishment e antisistema nato con i vaffa-day di Grillo, rilanciato dal Papeete di Salvini e raccolto dal “sono una donna, sono un madre, sono cristiana” di Giorgia Meloni. Insomma, con Fratelli d’Italia al 25%, il Movimento 5Stelle al 15% e un’ astensione - soprattutto quella - al 33%, gli italiani sembrano confermare lo scetticismo nei confronti dei partiti di “sistema”. A cominciare dall’area del Terzo polo che fatica a sfondare nonostante si sia presentato come l’alfiere del draghismo. E forse è anche questo, per non ancorarsi a un partito sotto il 10%, il motivo per cui Draghi ha preferito declinare i pressanti inviti di Calenda e Renzi. Modesto anche il risultato del Pd, il partito della responsabilità che galleggia da sempre intorno al 20%, non è riuscito a incarnare un racconto che non fosse quello un po’ trito dell’antifascismo o dell’europeismo acritico. Al di là di questo, il quadro che ci troviamo di fronte è assai scivoloso. Se è infatti vero che Giorgia Meloni è la vincitrice, è altrettanto vero che non è riuscita a portare fino in fondo l’opa sul centrodestra. Chi invece può festeggiare è Giuseppe Conte. Dopo aver ereditato un partito dato per morto e balcanizzato da una guerriglia interna ferocissima, l’ex premier si è preso il partito sulle spalle gli ha ridato un’anima. Quella che invece ha perso Matteo Salvini: scoppiata la bolla del 2020, anche il leader leghista ha faticato a trovare il suo nuovo racconto ed è tornato il partito del Nord. Solo del Nord. Ciononostante il dato di fondo di queste elezioni è chiaro: la gran parte degli italiani si affida ancora alle forze antisistema.